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Lo Stretto necessario

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A cura di Roberta Pino

Caso Cotticelli: il buon giornalismo al servizio di una buona società

Dopo l'inchiesta della trasmissione “Titolo Quinto” di Rai 3, una bufera si è scatenata sul commissario (ormai ex) Cotticelli. Una riflessione sul giornalismo che trasforma il lettore, da semplice consumatore di notizie a buon cittadino

La vicenda del commissario ad acta alla sanità in Calabria (ormai ex), Saverio Cotticelli, ha fatto emergere un dato importante: a svelare che il responsabile del piano Covid 2.0, per la regione situata nella punta dello stivale, era lo stesso ex generale dell’Arma dei Carabinieri, è stato un giornalista, nello specifico Walter Molino della trasmissione “Titolo Quinto” di Rai 3.

Il video “incriminato” spopola ormai su tutti i media e sta veicolando alla velocità della luce sui social, tanto da aver suscitato, nel popolo calabrese, un’onda di indignazione che certamente non rimarrà inascoltata. Il premier Conte ha provveduto immediatamente a defenestrarlo, molti politici e collaboratori, probabilmente, prenderanno le distanze e il popolo calabrese sta facendo sentire la sua voce, e non come “un pezzo di rame risonante o un
rimbombante cembalo”, al pari cioè di un rumore forte, stonato e assordante che allontana anziché attrarre.

Ma non voglio soffermarmi tanto sulla figuraccia del commissario (ormai ex) Cotticelli, che scopre in diretta di essere lui l’artefice del piano pandemico 2.0, e nemmeno fare dietrologia, del tipo svelare i criteri di scelta oggettivi/soggettivi alla base di un ruolo così strategico, oppure stigmatizzare il colore politico di coloro che l’hanno designato, ed ancora denunciare chi doveva controllare i controllori.

Ciò che voglio mettere in risalto, in questo caso, è, invece, il buon giornalismo. Quello messo in atto dal cronista della trasmissione “Titolo Quinto” che, con poche semplici domande, con garbata determinazione e, aggiungo, con sguardo che sapeva di rassegnata tenerezza, ha messo alle strette il quasi settantenne generale Cotticelli, “estorcendogli” una confessione di cui lo stesso commissario (ormai ex) non ne ha percepito, almeno immediatamente, la portata, provocando uno tsunami che di lì a poco l’avrebbe travolto.

Sui social ho letto “ci voleva una inchiesta giornalistica per sapere che in Calabria non era stato attuato alcun piano sanitario antipandemia? Siamo messi male!” Ebbene si, le cronache di tutti i tempi raccontano di scoop che hanno sconvolto le sorti del pianeta. Lo scandalo Watergate ne è un esempio eclatante.

Due giovani reporter del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, da una attività di spionaggio e di intimidazione ai danni di esponenti del Partito Democratico, fatte da uomini legati a Richard Nixon, portarono in due anni alle dimissioni il presidente degli Stati Uniti.

Ed ancora, per rimanere in Italia, l’inchiesta giornalistica “Mani pulite” o meglio conosciuta come “Tangentopoli”, rivelatrice del sistema fraudolento e corrotto che ha compromesso la politica e l’imprenditoria italiana. E di esempi da citare ce ne sarebbero una infinità! Questo è il giornalismo che ci piace, quello serio, che approfondisce, che non inganna ma arricchisce.

Lode, quindi, al quel giornalismo che costruisce la notizia e pone le domande chiave. Lode a quel giornalismo che aiuta il lettore a sviluppare proprie capacità critiche sui fatti che lo circondano. Lode a quel giornalismo che trasforma il lettore, da semplice consumatore di notizie a buon cittadino.

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