rotate-mobile
Inchiesta

Così la 'ndrangheta ha conquistato il Trentino

Dalla Calabria alle valli trentine per depredare le cave di porfido. L'oro rosso che pavimenta l'Italia ha attratto le cosche mafiose che, nei decenni, hanno fatto affari milionari, con la complicità di politica e imprenditori locali. L'inchiesta

"Lì c'è mezza Cardeto. Tutti sono saliti a Trento, una città bianca senza malizia. I calabresi hanno fatto soldi della Madonna. I trentini non potevano immaginare che un cristiano potesse fare imbrogli come quelli lì". Sono le parole di un affiliato mentre si trova in viaggio in auto con un noto boss della 'ndrangheta. Quelle frasi sono state intercettate dai carabinieri del Ros nei due anni di inchiesta "Perfido" che, nell'ottobre 2020, si è conclusa con una raffica di misure di custodia cautelare per politici e imprenditori locali. Così i pm hanno rivelato la presenza della criminalità organizzata a Lona-Lases, un paesino abitato da meno di novecento persone immerso nella Val di Cembra.

Così il paese dell'oro rosso ha eliminato la politica

Lì le cosche facevano affari d'oro con le cave di porfido, impuniti anche grazie a un livello di omertà che i giudici, nelle carte processuali che TrentoToday ha potuto visionare, definiscono "analogo a quello esistente nelle regioni con più alto tasso di criminalità mafiosa". Un trauma per il Trentino. Al punto che il piccolo Comune ha abolito la politica e non ha più eletto un sindaco. L'ultima volta che la cittadina trentina ha scelto la propria amministrazione risale al maggio 2021, quando si era dimesso Manuel Ferrari, eletto a settembre 2020. Solo un mese dopo è esploso il caso giudiziario. Secondo gli inquirenti, Lona-Lases era diventato il centro d'interesse della mafia calabrese. Le 'ndrine avrebbero spedito al nord i loro uomini fidati, stabilendo una cellula locale, che faceva riferimento a famiglie eccellenti della provincia di Reggio Calabria (Cardeto in particolare): Serraino, Iamonte e Paviglianiti.

La 'ndrangheta colonizza il Trentino

Insediatisi negli anni '80, secondo le indagini della Procura di Trento, gli 'ndranghetisti si sono presentati nella Val di Cembra con talmente tanti soldi da comprare attività imprenditoriali e quelle che non c'erano se le sono costruite da zero. Ma il cuore degli affari è sempre stato il business del porfido, il così detto oro rosso, la roccia vulcanica con cui si pavimenta l'Italia intera. È in una delle sentenze di primo grado che il giudice scrive come "il primo vero grosso investimento è stato nel 1999, con dodici miliardi di vecchie lire per acquistare la cava Camparta di Meano". Da lì in poi è proseguita l'opera di contaminazione. "Si è trattato di un lento e silente ingresso nella realtà trentina, sia con attività illecita che con l'inserimento di capitali e con la gestione di attività lecite" si legge ancora nelle carte processuali. 

I pestaggi nelle cave e la contaminazione del tessuto sociale

Per avere il controllo del porfido, la cosca agiva su due livelli. Uno era quello della violenza e della prevaricazione nei confronti dei lavoratori. Tanto che uno dei capi d'accusa è la riduzione in schiavitù degli operai, costretti a firmare carte in cui attestavano di aver ricevuto stipendi mai versati o picchiati se si ribellavano al sistema. Come quando, nel 2014, un operaio cinese era stato punito per aver sabotato un macchinario. Era stato legato a una sedia, chiuso dentro una baracca e massacrato con calci, pugni e sprangate per un'ora. Per quel fatto, nel 2016, sono stati condannati a due anni e otto mesi Bardul Durmishi, Hasani Selman e Arafat Mustafa. Sentenza confermata in Appello nel 2018 e Cassazione 2019.

'Ndrangheta in Trentino, chiesti 2 milioni di risarcimento

Poi c'era il volto buono, quello di chi utilizzava cortesi rapporti istituzionali per contaminare la politica. La Procura ne è sicura: la consorteria lo ha fatto attraverso i fratelli Battaglia, oggi a processo per associazione di stampo mafioso e voto di scambio. Secondo le accuse, Giuseppe Battaglia era la "testa di ponte" per l'arrivo di Innocenzio Macheda (imputato in attesa di giudizio), suo conterraneo, riconosciuto dagli inquirenti a capo della cosca cembrana. Giuseppe Battaglia è stato prima consigliere comunale e poi assessore alle cave dal maggio 2005 al maggio 2010. Il fratello Pietro invece è stato prima consigliere nell'Asuc (Amministrazione separata usi civici) di Lases dal gennaio 2011 e poi consigliere comunale dal 2018. 

Per gestire i rapporti di potere era fondamentale l'associazione culturale "Magna Grecia", legalmente riconosciuta con sede a Trento e presieduta da Giuseppe Pavaglianiti. Per gli inquirenti, l'associazione veniva gestita arte per occultare gli affari della cosca, ma anche per penetrare il tessuto sociale attraverso l’organizzazione di eventi con personaggi del mondo della politica e delle istituzioni. 

Perché ai cavatori serve la politica

Ma perché era così importante manovrare i fili della politica locale? Esiste una legge provinciale, che demanda ai Comuni i controlli e i criteri con i quali vengono calcolati i canoni di concessione delle cave, cioè l'affitto che i proprietari di cava pagano al Comune per estrarre la roccia. "Noi abbiamo fatto dei calcoli con l'ingegner Pier Domenico Tomasi di Pinè, consulente per le Asuc e abbiamo scoperto che, con il sistema attuale, i concessionari versano mediamente canoni di 4,50 euro al metro cubo. La resa minima di un metro cubo di porfido, al di sotto della quale le operazioni sarebbero antieconomiche, può essere stimata nell'ordine del 35%, per un valore del semilavorato di 73 euro a metro cubo". A spiegarlo è Walter Ferrari, uno dei portavoce del Coordinamento lavoro porfido (Clp), che da decenni denuncia la presenza di infiltrazioni mafiose nelle cave di porfido fra la Val di Cembra e la Valsugana. Solo dal 2015 a oggi ha presentato quindici esposti alla magistratura.

Walter Ferrari del Coordinamento porfido Trentino

Seguendo il ragionamento dell'ex sindacalista, su un metro cubo di porfido, la parte utilizzabile come semilavorato grezzo, è circa il 35%. Questo 35%, sul mercato, vale circa 75 euro. Gli imprenditori della Val di Cembra pagano allo Stato 4,50 euro per guadagnarne 75 (stima al minimo ribasso). Siamo nell’ordine del 6% di canone. Un vero affare se si pensa che, applicando i parametri europei del settore, i canoni di concessione dovrebbero attestarsi su un valore che va dal 18 al 22% del valore del semilavorato estratto. A conti fatti, su un milione di metri cubi di grezzo estratti all'anno (almeno fino a qualche anno fa) nella valle del porfido, "sono dieci milioni di euro sottratti ogni anno legalmente alle amministrazioni comunali con una legge che lascia una falla aperta - ribadisce Ferrari -. Ecco perché il controllo delle amministrazioni comunali è fondamentale".

Sentenza storica

Il 27 luglio scorso poi la corte d'assise di Trento ha confermato l’impianto accusatorio degli inquirenti, condannando gli otto imputati del filone processuale principale per un totale di 76 anni complessivi di carcere. In particolare, per il reato di associazione di tipo mafioso, Domenico Ambrogio è stato condannato a 8 anni di reclusione; Mario Giuseppe Nania a 11 anni e 8 mesi; Giuseppe Battaglia a 12 anni; Pietro Battaglia a 9 anni e 8 mesi; Demetrio Constantino a 10 anni e Antonino Quattrone a 8 anni e 8 mesi. Per il reato di concorso esterno, sono stati condannati Giovanna Casagranda a 9 anni e 4 mesi e Federico Cipolloni a 6 mesi e 8 anni. Nania, Pietro Battaglia, Giuseppe Battaglia e Casagranda sono stati condannati anche per sfruttamento del lavoro. I giudici hanno inoltre condannato in solido gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. Alla Provincia di Trento, sono stati riconosciuti 100mila euro; 200mila euro al Comune di Lona Lases e 30mila euro ciascuno per Libera, Filca Cisl, Fillea Cgil del Trentino. Una sentenza che vedrà un nuovo dibattimento visto che gli avvocati difensori degli imputati hanno già annunciato ricorso in Appello. Sono convinti che non ci siano le prove del reato del 416bis.

I pm sono invece certi che sia trattato di un tentacolo di una delle più grandi holding criminali al mondo. Sono anche sicuri che il 2019 sarebbe dovuto essere l'anno del salto di qualità. Il gruppo criminale si stava preparando ad allargare la propria rete di affari, comprando altre attività come distributori di benzina, pasta fresca e una ditta per l'importazione di legname. Solo l'avviso di proroga dell'indagine della magistratura avrebbe costretto gli 'ndranghetisti a stoppare tutto. 

La pubblica accusa, nell'aula trentina, ha parlato di "grave inquinamento del tessuto economico del territorio", di comportamenti volti a "depredare la ricchezza del territorio" e del "danno derivante dall'infiltrazione politica". Tanto che Lona-Lases ha fatto storia anche per essere rimasta impantanata in quella che la pm Maria Colpani, nella sua requisitoria, ha definito "deserto delle elezioni". E, interpretando forse le perplessità di un'intera provincia, si è detta "impressionata" nel vedere un servizio televisivo con le persone che "scappavano quando il giornalista si avvicinava per chiedere qualche cosa su queste elezioni amministrative". La stessa omertà che, in altre parti d'Italia, insieme alla fine della libertà e dei processi democratici, certifica l'usurpazione mafiosa.   

Sullo stesso argomento

In Evidenza

Potrebbe interessarti

ReggioToday è in caricamento