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Lunedì, 29 Aprile 2024
La denuncia

"Ho abortito accanto a chi partoriva": la triste esperienza di una giovane donna al Gom

Oggi si batte affinché storie come la sua non si ripetano: "Servono spazi separati, occorre organizzare il reparto"

La voce è ferma, decisa. Solo nei suoi occhi traspare il dolore appena vissuto. B.I. è una giovane donna reggina che ha appena avuto un aborto spontaneo. La sua prima gravidanza interrotta alla decima settimana. Un soffio di vita che va via, solo il tempo di realizzare che la maternità tanto attesa e desiderata è svanita. 

Ma oltre al dolore per l'aborto spontaneo, la donna ha subito un altro trauma: "Sono finita nella stessa stanza d’ospedale di chi stava per partorire, è stato un trauma, un dolore forte e ingiusto. C'erano due donne che stavano facendo il monitoraggio, sentire il battito del cuore, forte, di quei nascituri è stato crudele. Io avevo appena perso il mio bambino". 

"Ho provato tanto rabbia, oltre che dolore, e ho pensato se al mio posto ci fosse stata una ragazzina, o una donna più fragile di me, ne sarebbero uscite devastate. Non è assolutamente giusto".

La donna racconta la sua storia e spiega: "Sono andata, venerdì sera, al pronto soccorso del reparto di ostetricia e ginecologia del Grande ospedale metropolitano in condizione di aborto in atto. Ho avuto subito soccorso e il primario, il dott. Giuseppe Zoccali, e lo staff ospedaliero presente tra le ore 20:30 e 23:45, sono stati molto bravi. Ho beneficiato delle giuste cure e attività legate alla fase di espulsione, di analisi e accertamenti delle funzioni vitali, del ripristino delle buone condizioni di salute per le dimissioni. In tutto ciò, purtroppo, è mancata l'attenzione verso la sfera psicologica ed emotiva". 

"Nonostante le rassicurazioni e l'interesse verbale sul mio stato di salute fisico, sono stata costretta a dover restare in osservazione adagiata in una postazione dedicata anche alle attività di monitoraggio delle gestanti in fase di travaglio, con il subire passivo di un quadro totalmente opposto a quello vissuto in prima persona. 

Il dolore fisico ha lasciato spazio ad una straziante quanto sadica tortura emotiva che la sottoscritta ha dovuto sopportare, vedendo e ascoltando il battito cardiaco di bambini non suoi, in un momento delicato come quello di una donna che ha appena perso il suo. Il suono del macchinario del tracciato è udibile persino dalla sala d'attesa, tanto che i famigliari ne sono rimasti anch'essi colpiti. Non è giusto! Questi episodi, già traumatizzanti di per sé, affondano ancor di più nell'animo di colei che subisce un aborto devastando e lasciando segni indelebili".

"Possibile che in reparto non vi sia un'attenzione più ampia su questi episodi?", domanda la giovane donna. "Possibile che non vi sia in reparto la possibilità logistica di poter separare le donne in stato di attesa o in travaglio da quelle che debbono restare in osservazione per un aborto avuto? Possibile che ancora oggi, in cui vantiamo delle eccellenze nella nostra realtà sanitaria già colpita da deficit territoriali, si debba aver a che fare con disattenzioni o leggerezze che riguardano lo stato emotivo della paziente?Basterebbe davvero poco per poter fare e dare tanto".

Per questo appena tornata a casa, e passato il dolore acuto, ecco che ha deciso, lucidamente, di portare alla luce quanto vissuto "affinché altre donne non subiscano lo stesso trattamento".  Così ha inviato una pec alla direzione sanitaria del Gom, dove ha raccontato i fatti e segnato quanto subìto.  "Spero che questo monito - conclude la donna - possa così comportare una presa di posizione da parte della Direzione sanitaria nella tutela di tutte le pazienti e delle loro famiglie anche dove la medicina non può arrivare".

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