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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

"La guerra di Paulinuzzu Millarti": Puglisi porta in scena attimi di micidiale intensità

La recensione dello scrittore Antonio Calabrò. Lo spettacolo, prodotto da Officine Jonike Arti, è andato in scena al Teatro San Bruno, nell’ambito della rassegna "Periferie Connesse" per il Globo Teatro Festival

Uno spettacolo prodotto da Officine Jonike Arti, di e con Andrea Puglisi, liberamente tratto dal libro “La guerra di Paulinuzzu Millarti” di Francesco Montalto, con la partecipazione di Christian Bruno, regia di Benedetta Nicoletti.

La pièce, sul palcoscenico del Teatro San Bruno, nell’ambito della rassegna "Periferie Connesse" per il Globo Teatro Festival, tornerà a Reggio Calabria nel 2024. Attraverso la recensione dello scrittore reggino Antonio Calabrò ripercorriamo lo spettacolo portato in scena dall'attore Puglisi.

"Paulinuzzu ha il viso e le forme di Andrea Puglisi e la voce calda col timbro siculo delle notti stellate all’olio d’oliva e alla zagara, ma la sua voce è colma di altre voci, quelle dei 28.397 marinai italiani crepati durante la Seconda guerra mondiale, aggrappati alla speranza sognante del protagonista e alla sua disperata voglia di vivere. Quella voglia che lo sorregge, quel desiderio di tornare ai profumi di Portopalo, alla luna che si affaccia, racconta lui, sul grande diamante che il Creatore in persona ha piazzato nel cuore del Mediterraneo battezzandolo Sicilia, da cui viene strappato a vent’anni per la gloria e le vittorie dell’impero e della regia marina.

Paulinuzzu è sul Borea, cacciatorpediniere sgusciante, e prima partecipa tranquillo alla proditoria invasione dell’Albania, ma poi, il 10 giugno del 1940, il testone del duce, replicato con mimica esilarante da Paulinuzzu di schiena, annuncia tronfio l’ora delle grandi decisioni ed è subito Inferno, Tobruk e Balbo sotto il fuoco amico, il crepitare della mitraglia che diventa sottofondo, i boati sordi dei pezzi da 102 familiari come tuoni, è guerra di sangue con gli aerei nemici che portano la morte sibilante e squassante e i corpi degli amici che diventano brandelli sanguinanti.

Andrea Puglisi scala l’intensità del racconto, ci porta tra la paura, il terrore, lo sgomento, interpreta momenti di micidiale intensità che fanno male perché l’attore rende facile l’immedesimarsi; lo segui su quel palco scarno che nella mente diventa ingombro come un porto militare, e ti sembra di vederli, in alto, quei minuscoli aerei Swordifish che sganciano pacchi esplosivi da 227 chili, il tavolo si fa mitragliera Vickers-Terni 40/39, la sua voce è quella dei compagni, e sono urla d’allarme, d’avvertimento, di terrore mentre crepita la mitraglia.

Il pacco arriva, arriva, arriva e poi il botto. La testa del fuochista rotola lontano. La nave affonda in porto e la gamba maciullata di Paulinuzzu, steccata e curata male, quasi esplode e nell’ospedale da campo lui si sveglia ma non ha tempo per riaddormentarsi, arrivano gli Inglesi e fanno tutti prigionieri, e allora amputiamo sentenzia con accento da Lord Brummel il medico albionico. Ma quando mai, si ribella il protagonista, via il gesso, via il fetore della lacerazione: Millarti s’inventa l’arte di sopravvivere, mantiene la gamba, la vita, la dignità, ma perde quello
straccio di libertà.

Si ritrova a Zonderwater, in Sudafrica, con altri 100.000 italiani al lavoro che pagano il prezzo al duce e alla sua boria, altro che Borea, e lui s’ingegna, s’industria, impara mestieri e dimagrisce, secco come un fuso alla fine sogna la Sicilia, e sopravvive, ci riesce, torna alla zagara sicula e non esce più dal corpo di un Andrea Puglisi talmente bravo che forse è posseduto, un marinaio reincarnato, per una trascinante prova d’autore nei contenuti, nella forma, nel sentimento che ne scorga, talmente alto da brillare come quel diamante di luce siciliana creato per gli uomini che sognano, come il pubblico - muto - di fronte a tutto questo".


 

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