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Le Muse per la poesia: ritornare al significato della parola per lasciare memoria

Nuovo incontro nell’ambito della programmazione estiva de l’associazione “Le Muse – Laboratorio delle Arti e delle Lettere” di Reggio Calabria

Riflessione aperta e condivisa quella ha dato il via all’appuntamento dedicato alla “Poesia” domenica scorsa, al Cortile delle Muse, nell’ambito della programmazione estiva de l’associazione “Le Muse – Laboratorio delle Arti e delle Lettere” di Reggio Calabria.

Un appello nuovo ed inedito ha ricordato il presidente Giuseppe Livoti in apertura di serata, ringraziando i soci ed i simpatizzanti “platea d’eccellenza” che hanno accettato questa nuova idea, idea vincente per Livoti, un appello settimana dopo settimana per ricordare, per fare memoria, per salvare e per mettere al centro dell’attenzione argomenti o eventi del nostro tempo, per cercare di capire dove siamo arrivati e quali richiami o collegamenti, esistono nel contemporaneo, dalla letteratura al teatro, dal dialetto al vernacolo e dall’arte ai linguaggi della costruzione poetica.

L’occasione ha ribadito la vice presidente Muse Orsola Latella nell’introduzione, scaturisce dalla raccolta “Vinessa” della professoressa Titti Strano che ha elaborato dei componimenti che attestano quel filo conduttore e quella vis creativa che la accompagna dai suoi anni giovanili ad oggi.

La “Poesia democratica” per la Latella, oggi sopravvive come lirica, come frammento personale che si esprime comunque con forme ritmiche anche se non rigide o dominanti. Vanno affrontate così questioni e collegamenti tra poeti, lettori, ascoltatori, critici, editori ed ancora servirebbe per la Latella, che le grandi case editrici intercettassero il nuovo al Sud, magari disseminando in tutto il territorio il Festival della Poesia. Ampio dunque il dibattito aperto dal dott. Giuseppe Cartella, primario presso l'unità operativa di neurologia del Policlinico Madonna della Consolazione che si è soffermato sulla poesia di Titti Strano che identifica la danza della vita, una trilogia della stessa tra funamboli, inganni e fierezza ovvero la ricerca dell’amore, dell’”androgino platonico” a cui siamo tutti condannati, amore difficile da raggiungere e sempre danzante.

E la professoressa dice Cartella, inconsciamente si proietta per raggiungere una eterna ricerca per difendersi, proittandosi nell’altro con fierezza, e con un unico modo per tirare fuori dentro di noi l’anima. Un se che fluttua nella memoria, nella crudele favola dell’amore per il critico letterario Clelia Montella, le alkimie dei versi, si perdono nella natura, come il flusso della marea che la poetessa Strano riporta ad echi lontani.

Un linguaggio asciutto alla Montale, un intenso linguaggio, verso di ricerca ancestrale di sentimenti mai sopiti, in cui le emozioni sono forme e concetti quasi astrali. Ricerca metafisica come nella poesia di Eliot tra ragione e sentimento, equilibrio soffuso nei versi, con un io narrante che concettualizza arrivando alle radici dell’essere. Vincenzo Nociti, direttore unità operativa complessa di geriatria del Grande ospedale metropolitano Bianchi Melacrino-Morelli di Reggio Calabria, si è subito soffermato sul perché un medico oggi può parlare di poesia ribadendo come chi proviene da tale ambito, ha l’humus, ha impostazione umanistica che non hanno altre professioni ed in questa visione si ritorna alla vera medicina, quella delle “persona” non della sommatoria dell’uomo fatto solamente da organi.

Partendo dai versi dellla raccolta “Vinessa” sembra spontaneo farsi tante domande ovvero perché il poeta scrive delle poesie ? Vuole esprimere il momento ? o il poeta vuole scrivere per altri per insegnare cosa può cambiare nell’essere umano ? Ec ancora si scrive per delusione, per rabbia o per toccare il cuore per aiutarci a pensare? Oggi siamo circondati dal rumore e perdiamo di vista l’interiorità dell’uomo.

La poesia rende luminosa la vita come scrive Pasolini ed i versi della Strano emozionano, fanno sentire vivi e così vengono rappresentati dalla stessa percorsi iniziati, interrotti, ripresi attraverso le varie fasi come – fantasmi della memoria – che raffiorano dalla memoria. In tutte le poesie vi è il tempo che passa e non ricordare più vuol dire perdere la propria –dignità, senza memoria saremmo senza progresso e senza evoluzione. Poesia come combattimento, mai mielosa, viva, attiva, irrequieta, dall’esaltazione giovanile alla libertà odierna.

Importante il ruolo ancora una volta della parola coniugata con il suono e l’immagine compositiva, momenti che hanno visto l’interazione al pianoforte del Maestro Alberto Marafioti vincitore del Premio Leoncavallo, il quale ha intrapreso un viaggio tra il valzer dell’Addio di Chopin o il flamenco andaluso di Asturias o ancora la settecentesca toccata di Paradies. Il tutto reimmaginato con le delicate “maschere” realizzate dalla scultrice Rossella Marra che personificano la “Musa della Poesia” insieme a tondi ceramici, volti estrapolati dalla storia dell’arte. Ed ancora i versi letti dal Laboratorio di Lettura Interpretativa delle Muse diretto da Clara Condello con la partecipazione di Emanuela Barbaro, Antonella Mariani, Adele Leanza tra gestualità e cadenzato ritmo del verso, per esprimere l’animus della serata tra Notturno, Nostos, Ricerca, Funamboli, titoli che sono diventati traccia e poesia visiva.

La serata si è conclusa con la lettura della Strano sulle note di Immagine di un manifesto per una nuova poesia partendo dai giovani guerrieri indomabili degli anni 70, consapevoli tra sviluppo e declino, in un excursus volto ad esaltare il ruolo della donna per parità di diritti, con la richiesta alla politica, di strumenti per operare, nella ricerca della speranza, liberi dal pessimismo.

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