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Verso il 25 novembre

Comi: "Il gender gap in Calabria va trattato come un'emergenza"

La responsabile del coordinamento pari opportunità e politiche di genere di Uil Calabria rilancia l'idea di un assessorato per il superamento delle discriminazioni

"La violenza di genere e le diseguaglianze sociali e lavorative in Calabria vanno trattate come una vera e propria emergenza. Deve far riflettere che la nostra regione nel 2022, in rapporto alla popolazione, abbia avuto il tasso più alto d'Italia di femminicidi". Sul tema Anna Comi, responsabile del coordinamento pari opportunità e politiche di genere di Uil Calabria, non indora la pillola. E rilancia l'idea di un assessorato regionale per il superamento del gender gap, proposto un anno fa insieme al segretario generale Santo Biondo, ma che non ha finora avuto riscontri concreti. "Nel nostro territorio siamo molto lontani dalla parità reale, la prevenzione della violenza e le pari opportunità restano al livello di argomento da convegni. E poiché la disparità tra i sessi è ancora marcatissima soprattutto nell'ambiente politico, credo che una struttura dipartimentale della Regione, affidata a una donna, darebbe un segnale forte di impegno, oltre ad essere un'iniziativa innovativa che per una volta arriverebbe dalla Calabria"

La sottomissione economica della donna e le barriere sociali alla sua autodeterminazione sono incubatori di molte situazioni di violenza domestica. Lo diciamo da anni, eppure i numeri ribadiscono come il gender gap nel mondo del lavoro resti una roccaforte maschilista con il 40% di contratti in meno alle donne, secondo quanto rilevato dal'Inapp in Calabria nel 2021

"Secondo i dati Istat già l'Italia è fanalino di coda nell'occupazione femminile con una percentuale del 50%. In questo quadro la Calabria è al 33%, una statistica impietosa perché sappiamo anche che le donne sono in media più istruite degli uomini e nell'arco scolastico hanno rendimenti migliori. Eppure sono collocate nel lavoro con enormi barriere e hanno non solo salari più bassi ma pure un reddito di fine carriera nettamente inferiore a quello degli uomini. Questo ultimo gap è dovuto alla difficoltà di coniugare lavoro e maternità e alla conseguente scelta obbligata del tempo parziale"

Pratiche come le dimissioni in bianco, almeno per la maggiore conoscenza della tutela di legge, si sono diradate. Su quali fronti le donne lavoratrici continuano ad essere più lese nei loro diritti? 

"Sicuramente oggi un datore di lavoro sta più attento e si guarda le spalle, ma in Calabria la situazione ha un'aggravante di specificità territoriale. Soprattutto nel privato, da noi spesso i contratti collettivi non vengono rispettati ed è la donna ad essere più fragile: inoltre spesso non fa valere i suoi diritti perché teme di perdere il lavoro. Aggiungiamo che la cura dei figli rende la carriera delle donne discontinua e sottoposta a interruzioni, e il percorso contributivo viene fortemente penalizzato"

Anna Comi

ll lavoro rende libere e scoraggia sopraffazioni, abusi e violenze. E' questo a fare paura?

"Il sostegno dell'occupazione femminile e giovanile è a tutti gli effetti anche uno strumento di prevenzione della violenza. L'indipendenza economica permette alla donna una libertà decisionale ad esempio nella fine di un legame con un partner violento, ma con i redditi di un part time non si va lontano. E questa purtroppo è l'opzione che la maggior parte delle donne lavoratrici e madri è costretta a preferire. Part time ma anche il rifiuto degli straordinari o di incarichi particolarmente impegnativi o mansioni di responsabilità, che toglierebbero tempo alla famiglia. Le norme a tutela in realtà ci sono e solo il tempo ci dirà se siano efficienti, ma in questo momento non bastano perché la differenza di genere persiste. Serve un cambio di passo nella mentalità ancora largamente maschilista per scardinare gli stereotipi duri a morire che vedono sempre la donna come soggetto con il carico maggiore di responsabilità familiari. Per questo il lavoro della donna è visto come accessorio, un arrotondamento di cui si può fare a meno. E la stessa donna sa che con il suo solo reddito non potrebbe portare avanti una famiglia senza appoggiarsi economicamente al marito"

Ci elogiano come multitasking, ma un'altra etichetta anglosassone nell'ultimo decennio ci ha inserite tra i breadwinner, quelli che portano il pane a casa. Soprattutto al Sud, dove gli uomini perdono di più il lavoro, emerge il fenomeno delle donne capifamiglia, che di fatto hanno a carico loro tutti i componenti del nucleo e al contempo continuano a guadagnare pochissimo

"Il termine multitasking non mi piace e non lo uso mai perché ritengo sia un pretesto per chiederci di occuparci di tutto. E' una parola che ci descrive come supereroi, e invece non lo siamo. Piuttosto le donne nella nostra regione sono un pilastro del welfare, quello sì, perché oltre che dei figli si occupano dell'assistenza di anziani o disabili. Settori dove operano soprattutto quelle che lavorano per sopperire alla perdita del reddito dell'uomo. Ma è quasi sempre lavoro in nero e così questo importante segmento rimane nel sommerso"

L'istruzione è stata una storica utopia per le donne. Ma anche oggi che studiamo come e meglio degli uomini, la realtà calabrese racconta di ragazze che lasciano la scuola appena assolto l'obbligo, per intraprendere progetti a senso unico di tipo matrimoniale. In particolare l'ultimo rapporto sulla povertà della Caritas dice che a Reggio nelle famiglie che vivono un forte disagio economico le figlie sono scoraggiate nella prosecuzione di studi che invece desiderebbero.

"E' un contesto in cui le ragazze crescono sentendosi da meno rispetto ai maschi. Loro stesse pensano di essere davvero un passo indietro e così studiano solo per necessità, senza darsi da fare in una prospettiva futura di carriera. Un lavoro di sensibilizzazione importante spetta alle scuole perché in una regione con i più bassi indici di lettura non si può sicuramente contare sull'indirizzo culturale delle famiglie"

La legge regionale fantasma, che c'è ma non ha copertura finanziaria

Uil Calabria ha promosso diversi progetti di sostegno al lavoro femminile, tra cui quello sull'uso della ginestra nell'industria tessile. Ma quante donne oggi in Calabria possono realmente iniziare un'attività imprenditoriale? La legge regionale approvata lo scorso 8 marzo prevede misure idealmente lodevoli, come il contrasto ai licenziamenti illegittimi, percorsi di formazione e sportelli mirati nei centri per l'impiego, certificazione delle aziende che promuovono buone pratiche di gender quality, e soprattutto uno stanziamento di 6 milioni di euro a sostegno delle imprese femminili o le cooperative in cui sono impiegate donne vittime di violenza. Se non fosse che, a distanza di mesi, la legge non abbia ancora copertura finanziaria   

"E' l'ennesima prova di quanto la politica sia distante dalle azioni di fatto. Voglio fare un esempio che in prima battuta sembra non riguardare le donne. La Calabria è la regione con meno palestre scolastiche del paese. Mi chiedo come sia possibile non trovare fondi per un'esigenza del genere, che rientra anche tra le azioni finanziate dal Pnrr. La carenza di strutture sportive aperte a tutti è uno dei tassello della povertà educativa del nostro territorio, dove i servizi all'infanzia sono quasi inesistenti, e mancano anche parchi e strutture polivalenti. Ed è un altro problema a carico delle donne, oltre a creare una situazione non equa per i minori, tra chi può fare sport e attività ricreative a pagamento e chi non può permetterselo. Accanto all'investimento sugli asili nido, settore molto carente in Calabria, per aiutare le donne a sostenere la gestione dei figli e lavorare occorre potenziare il tempo pieno scolastico, i servizi pre e post scuola e incentivare le strutture di supporto a chi si occupa di familiari non autosufficienti. Se di fatto siamo obbligate ad essere multitasking come ci definiscono, in realtà nessuna di noi vorrebbe esserlo in questo modo".

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