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Il ponte sullo Stretto: "Opera strategica ma collocato in un piano infrastrutturale più completo"

Questa l'analisi della Svimez l'impatto macro-economico in 14,6 miliardi di valore aggiunto e 256mila addetti in 7 anni

Il ponte sullo Stretto è "un’opera strategica ma va collocato in un piano infrastrutturale più completo”. A parlare è Luca Bianchi, presidente della Svimez nell’ambito della presentazione dello studio sula dotazione infrastrutturale nazionale curato per conto della Conftrasporto. 

“Per noi - ha detto Bianchi - il lotto sullo stretto più che un'opera simbolica è un vero e proprio lotto di una direttrice Palermo-Berlino. E il suo impatto economico sarà ovviamente condizionato alla capacità di completare gli interventi sull'alta velocità a monte e a valle del ponte, e quindi n Sicilia e in Calabria”.

Secondo lo studio della Svimez l’impatto macro-economico della realizzazione del Ponte si aggira intorno ai 14,6 miliardi di valore aggiunto e 256mila addetti in 7 anni. Ma, dopo aver considerato le criticità geologiche e ambientali, sarà determinante il suo collegamento diretto e veloce con il continente. 

Lo studio della Svimez ha messo l’accento sulle capacità infrastrutturali del Paese, la cui crescita - per Luca Bianchi - rischia però di infrangersi contro carenze e ritardi ormai insostenibili sul piano delle infrastrutture. 

Se a livello europeo l’Italia è ben posizionata, al settimo posto, in termini di competitività infrastrutturale, ci sono tuttavia profonde disparità territoriali con solamente Lombardia, Piemonte, Lazio, Liguria e Campania che superano la media europea, mentre tutte le altre sono al di sotto. In grande ritardo è soprattutto la rete ferroviaria al Sud. 

In tutto ciò quasi il 75% dei fondi pubblici è destinato alle infrastrutture ferroviarie (il 6% alle infrastrutture portuali e l’1% al potenziamento degli aeroporti) e sempre al Sud molte opere sono ancora in progettazione (56% contro il 36% del Centro-Nord), mentre i cantieri aperti sono pochi (13% contro il 34% del Centro-Nord). Dalla ricerca emerge anche la tendenza a un’ulteriore saturazione dei valichi alpini, che rende urgente l’apertura di nuove direttici e shift modali (ferrovia, cabotaggio, cargo aereo).

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