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Il dibattito sulla grande opera

Il ponte mette a rischio il trasporto marittimo e penalizza i pendolari

Dopo l'ipotesi della Corte dei Conti sul futuro dei fondi per le navi green, si torna a fare battaglia per i problemi del traghettamento

Con il ponte, o meglio un “attraversamento stabile” dello Stretto, il trasporto via mare sarà un asset molto meno economico, quindi meglio non metterci soldi inutili. E’ la conclusione a cui è giunta in questi giorni la Corte dei Conti nella sua attività di monitoraggio sull’utilizzo dei fondi del Pnrr, chiedendo a governo e Rfi di ripensare all’investimento di 80 milioni per il rinnovo della flotta dei traghetti: somme già stanziate e che dal controllo dei giudici contabili risultano comunque non spese e arenate tra gare deserte e procedure bloccate. Tanto vale cambiare rotta, in tutti i sensi, visto che all’orizzonte c’è il ponte dei miracoli che, se davvero fosse pronto nei tempi leggendari promessi dal ministro Salvini, renderebbe infruttuoso occuparsi di un sistema di trasporto ormai inservibile come il traghettamento. La raccomandazione della Corte ha subito acceso la protesta della rete no ponte e in particolare il gruppo “Invece del Ponte” e Uil Trasporti siciliana, che ha chiamato a raccolta anche il Comune di Villa San Giovanni per scongiurare l’ennesimo scippo ai progetti di sviluppo del territorio in favore della grande opera salviniana.

Il ponte in cambio dalle navi green e i soldi del recovery fund

La situazione delle navi dello Stretto rientra nel più ampio portafoglio Pnrr per il rinnovo della flotta navale mediterranea con unità a combustibile in grado di ridurre l’impatto ambientale (500 milioni) e l’aumento della disponibilità di combustibili marini alternativi (200 milioni). Un progetto che nel secondo semestre del 2023 entra ora nella seconda fase ma con un ritardo ormai non più recuperabile secondo la Corte dei Conti. Il piano prevede tre sub investimenti finanziati con fondi complementari, che hanno subito pesanti tagli: quello da 80 milioni per lo Stretto riguardava l’ibridizzazione “green” delle navi Igina e Messina e l’acquisto di nuove navi veloci dual-fuel (doppia alimentazione diesel ed elettrico con bassa emissione di CO2 e gas serra) in sostituzione dei mezzi obsoleti. Dalle due originarie le navi proliferarono con il rilancio da parte di Rfi, che avrebbe voluto affidare all’aggiudicatario una terza nave, per poi tornare con la coda tra le gambe a due, per mancanza di soggetti interessati. Già lentissimo, l’iter di questo intervento, con sole due offerte in gara che sono nella fase di esame da oltre quattro mesi, era stato affiancato da uno ancora più ambizioso, il traghettamento di treni ad alta velocità su navi più lunghe con un investimento maggiore (150 milioni) oltre all’adeguamento delle infrastrutture di terra. La stessa Rfi aveva ammesso con la Corte dei conti l’improbabilità di rispettare i tempi. E adesso i magistrati contabili osservano: “Il Mit e Rfi dovrebbero definire tempestivamente le linee strategiche che possano utilizzare nel modo più efficace possibile il budget stanziato dal Pnc per il rinnovo della flotta di Rfi, secondo criteri che tengano conto della possibilità di non utilizzare più le navi ovvero di utilizzarle in misura minore, ove il Ponte entrasse in piena funzione secondo i tempi annunciati dal Governo”.

Insomma, è la storia sentita troppo spesso negli ultimi mesi, dove il Ponte è il sontuoso miraggio che dall’alto del suo superfinanziamento permette di compensare tutti gli altri interventi scippati al Sud. E qualcuno ha persino calcolato che il portafoglio del ponte sapientemente rimpinzato da Salvini come un regalo generosissimo per Calabria e Sicilia, luccica moltissimo ma non è tanto oro come sembra. I 15 miliardi stanziati per l’attraversamento stabile dello Stretto (che proprio oggi Webuild ha ridimensionato a 11) sono in realtà il 10% dei fondi europei del Recovery Fund assegnati all'Italia per sviluppo e risanamento del Sud: il resto sarà impiegato in opere con ben altra destinazione geografica, tra cui le tratte di alta velocità Torino-Frejus, Milano-Genova, Brescia-Verona-Padova, Bologna, Verona-Brennero – quest’ultima con una spesa di 10 miliardi, poco meno del nostro ponte. In compenso dal cilindro del Mit è stato sventolato l’ammodernamento della strada statale 106, per il quale ovviamente non ci sono ancora soldi disponibili.

I pendolari si organizzano in un comitato che parte da Reggio

Il Ponte, qualora mai venisse realizzato, dovrebbe garantire il regolare attraversamento dello Stretto da parte dei pendolari e per questo in audizione nelle commissioni parlamentari Mario Mega, presidente dell’autorità di sistema portuale, ha posto all’attenzione il problema ritenendo necessario riorganizzare i servizi di traghettamento. Che devono essere certi anche nelle situazioni in cui l’utilizzo del Ponte fosse interrotto. In questi giorni l’allarme è stato lanciato sul versante calabrese da un nuovo gruppo, il comitato dei Pendolari dello Stretto con sede a Reggio, e si rivolge a un bacino di utenza che unisce le due sponde, stimato in circa 800 utenti. Sbarcati da poco su Instagram e Telegram, i pendolari pensano che sia arrivato il momento giusto per una battaglia di categoria longeva, quella finalizzata a ottenere una tariffa sociale di attraversamento riservata ai residenti nelle province di Reggio e Messina, e vorrebbero farlo con il riconoscimento di organo costituzionale. Per questo hanno avviato una campagna di adesione presentando le loro iniziative, la prima delle quali è stata un incontro con il management di Caronte & Tourist per esporre la problematica dei prezzi. Manifesto ideale della protesta è il biglietto postato sul gruppo Telegram dedicato da uno dei promotori, Pasquale Costantino: “Domenica scorsa – è il commento all’eloquente immagine – per andare da villa san Giovanni a Messina con ritorno dopo 3 giorni, ho pagato 45,20 euro. Allora da lì ho capito che dovevamo fare qualcosa. Ho preso coscienza che accostandosi a persone positive e capaci si può provare a migliorare nostro disagio”. L’interlocuzione con Caronte & Tourist ha raccolto l’impegno della società a rivedere il piano prezzi, con rinvio a un nuovo appuntamento per tirare le fila degli scenari futuri. E in programma ci sono altri incontri con l’Authority di Mega, Meridiano Lines e Blue Ferries (che è uno dei due soggetti in gara per il famigerato rinnovamento green della flotta dello Stretto, la cui offerta è al vaglio della commissione da diversi mesi).

Ma possiamo stare sereni, c’è il ponte. Che secondo il geologo Mario Tozzi sarà inutile soprattutto per i pendolari. Il divulgatore spiega che “dei circa 5000 pendolari, oggi l'80% non prende l'auto e ci mette 25 minuti, ma domani ci metterebbe un'ora per prendere l'auto, uscire da Reggio o Messina, pagare pedaggio, attraversare, rientrare a Reggio o Messina, parcheggiare”.

La Metromare di Bianchi, esperimento fallito e rimasto in eredità

Con o senza l’utopia del ponte, il traffico marittimo nello Stretto è oggettivamente pieno di problemi e diseconomie di tempo e spesa. Qualcuno aveva provato e ridisegnarlo con la metropolitana del mare, l’urbanista Alessandro Bianchi, ex ministro e rettore dell’università Mediterranea, da sempre fiero nemico del ponte. Celebre rimane il suo romantico auspicio sullo Stretto: “Voglio continuare a svegliarmi e vedere questo panorama bellissimo”. Si deve a lui il primo stop al progetto, quando nel governo Prodi sostenne la decisione del premier di bloccare tutto definendo l’opera inutile e dannosa. Era il 2006 e Bianchi avrebbe poi ideato un’alternativa, un servizio di trasporto marittimo collettivo veloce che metteva insieme un’utenza di pendolari e turisti su un percorso Reggio-Messina che nel migliore dei mondi possibili voleva includere tra le fermate dei vaporetti anche Taormina. Costo dell’investimento 30 milioni di euro per un triennio, attribuiti dallo stato al consorzio Metromare, composto dall’allora società di Rfi Bluvia con Ustica Lines. Gli aliscafi debuttarono sullo Stretto con il modello di Venezia ma anche Amsterdam e Sidney. Il progetto Metromare, incappato pure in un ricorso al Tar sulla gara, partì nell’estate del 2010 e funzionò poco e male, con 15 corse giornaliere che registrarono tempi di percorrenza più lunghi, prezzi raddoppiati e l’inevitabile abbandono dei passeggeri (che paradossalmente trovavano più convenienti le navi), fino alla naturale conclusione del servizio con la scadenza del contratto con il ministero, lasciando in eredità l’attuale gestione Blue Jet. Ma per qualcuno a Messina l'idea di Bianchi è ancora un grande sogno da realizzare con i fondi ministeriali della metropolitana dello Stretto, un cantiere annunciato per la fine del 2023.

In Horcynus Orca dopo la trasformazione dei vaporetti in navi da guerra, come vedove le femminote continuarono a vedere i fantasmi spaventosi dei ferribò, uno scenario distopico che con il ponte potrebbe sconfinare dalla letteratura alla realtà.

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