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Sabato, 27 Aprile 2024
Teatro / Portigliola / Palatium romano

Medea, principessa esule senza diritti in terra straniera

Marco Sgrosso, regista con Elena Bucci, dello spettacolo prodotto da Scena Nuda in scena il 24 e 25, racconta l'attualità di un personaggio controverso

Un spettacolo per voci e strumenti, che fonde lettura e canto per raccontare un mito complesso in una “Elegia per la principessa barbara - A proposito di Medea”. Si intitola così e andrà in scena domani e il 25 agosto nel Palatium romano Quote San Francesco del parco archeologico di Portigliola, la nuova produzione della compagnia Scena Nuda diretta da Teresa Timpano. L’evento rientra nel programma del festival del teatro classico con la direzione artistica di Elisabetta Pozzi, che l’anno scorso sempre a Portigliola aveva curato per Scena Nuda la regia delle “Tesmoforiazuse” con attori del laboratorio sperimentale tenuto sul territorio. I registi dell’allestimento su Medea sono invece Marco Sgrosso ed Elena Bucci, fondatori di “Le belle bandiere” e partner professionali di lungo corso di Leo De Berardinis. Protagonista sarà Francesca Ciocchetti, insieme a Filippo Gessi (Giasone), Teresa Timpano (nutrice), Alfonso Paola (Creonte) e Myriam Chilà e Francesca Pica (coro), impegnati in una formula originale dove recitano e cantano, accompagnati dal musicista Alessandro Carcaramo e la cantante Caterina Verduci. Lo spettacolo è in parte finanziato con il Fondo Unico per lo Spettacolo ministeriale.

“Teresa Timpano è stata mia allieva a Udine e quando ci ha proposto questa idea abbiamo aderito con entusiasmo – spiega Sgrosso – perché quello di Medea è un mito affascinante che racchiude molte tematiche. Per questo con Elena Bucci consideriamo questa lettura-concerto come una prima fase del progetto, ma c’è l’intenzione di realizzare con tempi e risorse maggiori uno spettacolo più articolato. In questa elaborazione drammaturgica domina la versione di Euripide, ma si affacciano varie ulteriori interpretazioni del mito, come quelle di Seneca e Corrado Alvaro”

Associata alle madri assassine e alla sindrome patologica che ne porta il nome, Medea è un personaggio controverso e la sua evocazione in efferati episodi di cronaca l’ha resa un emblema di follia. Ma nella vicenda mitologica c’è molto altro.

“Quella di Medea come donna accecata dalla pazzia è un’immagine falsa. Al contrario lei è molto lucida, alla base del suo agire non c’è affatto la fragilità psichica e le condizioni ambientali di disagio che troviamo nelle storie delle madri assassine. Medea sa bene quello che fa ed è spinta da considerazioni di calcolo legate non al suo rapporto sentimentale con Giasone ma allo status di donna di potere diventata un’esule senza diritti. Questo è un tema centrale nel nostro spettacolo, che presenta Medea come una straniera in terra straniera e indaga tutta la complessità di questa situazione. E’ vero, Medea compie un’azione terribile, uccide e dunque è un’assassina, infatti Seneca la rappresenta tremenda. In Euripide invece c’è un dilemma doloroso: il cuore di Medea è spezzato, ma a prevalere è la volontà determinata di evitare che i figli diventino anche loro esuli. Le sue ragioni sono così chiare che nonostante lo spaventoso delitto di cui è riconosciuta colpevole il coro infine parteggia per lei. Principessa, semidea imparentata con il Sole, non strega ma maga. Medea ha tante sfaccettature, ma ad emergere è la sua azione mastodontica e tremenda perché così accade nella narrazione della tragedia, che è fortemente simbolica”.

Negli ultimi tempi si parla di progressiva perdita di interesse dei giovani per studi e tematiche della classicità. Il teatro vive questo tipo di allarme?

“Il teatro classico è sempre attuale perché esprime archetipi e riesce a parlare di noi, dell’umanità che è la stessa oggi come migliaia di anni fa. Sembra un paradosso ma i classici sono più vicini a noi di un testo degli anni Cinquanta, ad esempio, e per questo è importante che continuino ad essere studiati. La forma di questo spettacolo in particolare l'abbiamo voluta molto contemporanea perché comprende il canto e la musica. Nonostante gli attori usino un linguaggio antico, la musicalità delle parole è emozionante e arriva ai cuori. Fare teatro impegnato non significa annoiare, ma impegnarsi nella trattazione di temi che richiedono la compartecipazione del pubblico. Ed è anche la peculiarità del teatro stesso, l’unica forma d’arte dove tutto avviene sul momento e con la necessaria presenza sia degli attori che del pubblico, dove ognuna delle due parti ha un’influenza sull’altra. Per questo ogni spettacolo è diverso e aperto a infinite possibilità. E’ un’assemblea civile, un rito collettivo. Il pubblico lo sa bene, tutto questo è mancato tanto durante la pandemia. Lo dimostra il fatto che, non appena si è riaperto, i teatri si sono riempiti”

Un immaginario collettivo e vagamente pop identifica Medea come la donna vendicativa per antonomasia, animata da gelosia e rancore verso un compagno che l’ha lasciata. Potrebbe essere una ex moglie che usa i figli come arma di ricatto o una dipendente affettiva preda di ossessioni. In realtà il mito ci parla, è vero, di un drammatico rapporto tra uomo e donna, ma basato sul potere.

“Medea non agisce per gelosia, é vittima di un’ingiustizia. E’ una principessa che sarebbe diventata regina ed è stata esautorata e privata di ogni potere dopo aver dato tutto. Pensiamo che ha tradito la sua patria per seguire l’eroe. In tutti i confronti tra lei e gli uomini, Giasone e Creonte le rispondono aggirando la questione e continuano ad appellarla ‘donna’ come se il suo sesso fosse un marchio di debolezza, un difetto. Tutt’altro che una donna gelosa e folle. Medea uccide, ma era stata abbandonata per interesse, poiché Giasone sceglie un’altra donna e possiamo presumere non lo faccia per amore. Lo dice lui stesso, che vuole vivere con larghezza. Quel progetto però era condiviso anche da Medea, avevano fatto tutto insieme. Giasone è sostanzialmente un ingrato, è a questo che Medea reagisce. Per sostenere lui è rimasta sola e senza più nulla. Ogni via che ti ho aperta – dice - l’ho chiusa a me”.

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