rotate-mobile
Lunedì, 29 Aprile 2024
L'intervista

Vins Gallico racconta una Reggio noir dove la luce lotta contro il male

Lo scrittore ospite del Touring Club ha presentato ieri il romanzo "Il dio dello Stretto" e ci parla di questa storia ambientata in città negli anni Novanta

A pochi mesi dall’uscita è già in ristampa “Il dio dello Stretto”, romanzo edito da Fandango che lo scrittore Vins Gallico ha ambientato nella sua Reggio Calabria, dove si svolge una storia noir attorno alle indagini di un magistrato molto umano e senza etichette di eroismi (anche se chi contrasta la criminalità in questa terra, di fatto, lo è).

Gallico, classe 1976, che con “Final Cut” (altro genere, vicenda surreale su sentimenti e amori falliti) arrivò finalista al Premio Strega, ieri sera è tornato a Reggio per presentare il libro sulla terrazza del museo archeologico nell’incontro promosso dalla sezione cittadina del Touring Club Italiano. Con l’autore ha dialogato il console Tci Francesco Zuccarello Cimino.

In questo romanzo il protagonista Mimmo Castelli è alle prese con due delitti ma soprattutto con la dimensione introspettiva di uomo credente che affronta i suoi lati oscuri, immersi in quelli, altrettanto neri, della criminalità negli anni Novanta, quelli della mafia più forte e degli omicidi di Falcone e Borsellino. Un personaggio complesso che, ci dice lo scrittore, tornerà: “La mia intenzione è creare una serialità, e, se il libro continuerà ad andare bene, spero entro il prossimo anno di scrivere un’altra storia che darà risposta a tutti i lettori che mi sta chiedendo come si sciolgono i tanti nodi lasciati in questo romanzo”.

Gallico con Francesco Zuccarello Cimino

In questo libro Reggio è citata con immagini di luoghi e riferimenti urbani precisi, ma il romanzo è di fantasia. C’è un’ispirazione a fatti di cronaca o persone reali?

“La realtà supera sempre fantasia e nella letteratura è un’importante fonte ispirativa, penso a Camilleri che ritagliava articoli di giornale e da lì prendeva spunto per i suoi romanzi. A me stavolta interessava andare oltre la cronaca nera. Considero questo come un noir filosofico e politico su questa terra e i suoi mali. L’unico personaggio vero è don Farias, sacerdote che occupò anche di cultura, anche se la citazione più importante è quella del protagonista Mimmo Castelli: questo è il nome di un mio insegnante del liceo classico Campanella, ho voluto fare una dedica a un uomo colto e illuminato, che ha sempre avuto la capacità di guardare in modo obliquo e analitico il nostro territorio”.

Il professore è stato felice della menzione?

“Sì, gli ho anche mandato il libro e gli è piaciuto. Ci sentiamo e vediamo e spero di averlo con me in una delle prossime presentazioni, almeno quattro, che farò a Reggio”

Chi è il Dio dello Stretto?

“Nel romanzo ha un ruolo importante la fede di Mimmo Castelli e la sua adesione a vari gruppi, tra cui la Federazione Universitaria Cattolica Italiana. C’è un po’ un riferimento religioso alla divinità che guarda questo territorio, vigila o decide della sua sorte, ma anche alla tentazione che a volte avverte Castelli di essere al di sopra del bene e del male, all’altra faccia, quella buia, della sua personalità onesta. Il titolo potrebbe però anche richiamare la ‘ndrangheta che domina la città, o persino il territorio stesso, il genius loci di tutta la storia. La visione cambia nelle diverse emozioni o riflessioni suscitate in chi legge”.

Dopo “Portami rispetto” con questo libro è tornato nell'ambiente poliziesco in un momento editoriale che sta puntando moltissimo sull’autofiction e i libri con poca trama e molta emotività, premiati anche nelle vendite. Di romanzi italiani con plot e colpi di scena oggi se ne pubblicano pochi. La sua è stata una scommessa?

“L’editore Fandango ha creduto in questo libro e lo sta portando avanti benissimo, ma tanta promozione la stanno facendo anche i librai, che ringrazio. E’ vero, oggi l’autofiction è un genere di punta, ma non direi che noir e gialli siano minacciati. In libreria le uscite di Camilleri, Manzini o Malvaldi hanno sempre dominato le classifiche. Credo sia anche giusto che oggi il romanzo dia spazio all’intimità, tutti con i social viviamo già in un’epoca di autoracconto. Personalmente non potrei scrivere una storia di questo tipo perché sono allergico a questo mondo, sono presente solo su Twitter e pubblico pochissimo. Il romanzo per me è quello ottocentesco di Dumas, e adoro i gialli esistenziali, Simenon e Sciascia. Sono questi i miei punti di riferimento nella scelta di scrivere un noir”.

Lei vive da anni lontano da questa città e oggi l’ha scelta come sede narrativa, che rapporto ha con Reggio?

“E’ il rapporto di chi è andato via suo malgrado…considero tutta la Calabria e in particolare Reggio una terra bellissima, ma credo a noi calabresi occorra guardarla con lealtà, perché in fondo il luogo dove sei nato o cresciuto riflette te stesso. E’ come quando ti guardi da solo allo specchio, e dici: sì, sto bene, ma qui ho un po’ di pancetta. Io vedo un territorio ancora popolato da demoni, ma dove esistono tante realtà virtuose e molti progressi, dove ci sono cose che funzionano e altre che rimangono ferme e brutte. Penso siano sbagliati entrambi gli atteggiamenti estremisti, di chi esalta senza obiettività o al contrario massacra e distrugge tutto”.

Un tempo bella e gentile, ma era una fotografia da cartolina. Poi dolente. Oggi etichettata da opposte fazioni come viva o morta. Lei quale cambiamento nota quando torna qui?

“Brecht chiamava sfortunata la terra che ha bisogno di eroi, questo romanzo l’ho ambientato negli anni Novanta nella Reggio di Italo Falcomatà, quando in città era nata una bella rete di associazioni e volontariato. In quel momento avrebbe davvero potuto avvenire un cambiamento. Ma, ripeto, anche oggi vedo tante iniziative e persone sane, che vogliono fare qualcosa, costruire, innovare. E non sarebbe giusto verso di loro dire che è tutto negativo”.

Una polemica tutta oriunda (che spesso si riaccende in tempi di premi letterari o fiere nazionali del libro) mette in due caselle separate gli scrittori che sono andati via e quelli rimasti. Con qualche improbabile classifica basata sulla residenza, su chi e come possa/debba scrivere di Calabria.

“Pur essendo partito, continuo ad essere legato al territorio e a frequentarlo. Questa presentazione è stata organizzata dal Touring Club, con cui collaboro da cinque anni, per loro ho scritto di tanti percorsi in Calabria. Io stesso la scopro ad ogni mio ritorno: in questa occasione sono stato al Musaba di Mammola con i miei figli, li porterò anche al museo archeologico. Penso che ci siano tanti modi per raccontare questa terra, da cui arrivano bravissimi scrittori come Rosella Postorino o Angela Bubba, così come tanti altri sono rimasti e scrivono di quello che vivono ogni giorno, cito Gioacchino Criaco ma non è l’unico. E non c’è soltanto la letteratura, vedo un bel fermento anche nella musica e nel cinema, con artisti come Mollo, Carpignano, Alessandro Grande, il cantautore Peppe Voltarelli. Nel loro lavoro l’appartenenza a questa regione non è, come avveniva in passato, qualcosa da nascondere nel curriculum, ma è valorizzata. Noto un grande e nuovo tentativo di rappresentare la Calabria oltre gli stereotipi”.

Tanti modi di raccontare: il suo qual è?

“Direi che la racconto in modo analitico, che non significa freddo. Quello che vorrei trasmettere è l’immagine di una Calabria mediterranea, che nonostante le ombre fa prevalere la luce, dove il paesaggio trasmette un’anima solare”.

Il Dio dello Stretto però tratta di fatti nerissimi.

“Sì, è un noir nel senso letterale del genere… infatti io questa Reggio la vedo anche un po’ marsigliese”.

Criminalità e ‘ndrangheta sono temi atavicamente legati a pittoreschi cliché meridionali e di facile dualismo tra sud e malavita. Come si fa a parlarne con un registro inedito?

“E’ sempre stato un argomento difficile e controverso per gli scrittori: Corrado Alvaro riuscì a nominare la ‘ndrangheta solo negli anni Settanta. Io ho provato a pervadere di luminosità anche le zone avvelenate. Di solito i racconti di questo genere si concentrano sul male, addentrandosi su azioni e personalità dei criminali, su cosa significhi essere cattivi… lo hanno fatto benissimo De Cataldo e Saviano. Nel mio caso indago l’altro aspetto, il ruolo delle figure positive dentro un sistema malato. Non significa essere santi e non c’è una divisione tra buoni e cattivi: il giudice Castelli ha i suoi lati oscuri, ma è uno che ci prova. Credo che essere etici in Calabria sia molto difficile, ma proprio per questo è più interessante”.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Vins Gallico racconta una Reggio noir dove la luce lotta contro il male

ReggioToday è in caricamento