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Giornata vittime migrazioni, cerimonia per ricordare i morti nel Mediterraneo

Il 3 giugno è la Giornata in memoria delle vittime della migrazione. Una data simbolica, indetta ormai cinque anni fa, dal sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà che oggi ha voluto deporre una corona di fiori nelle acque antistanti lo Stretto

Bisogna salire lungo i tornanti che dal mare portano alla collina per arrivare al piccolo cimitero di Armo a Gallina, frazione di Reggio Calabria. Qui dove dall’alto si domina la città e il mar Mediterraneo sembra bello inoffensivo sono sepolti i corpi dei migranti, nella nuda terra secondo la tradizione islamica, morti nella traversata per giungere nella fortezza Europa.  All’ingresso del cimitero c’è una targa che indica il 3 giugno quale Giornata in memoria delle vittime della migrazione. Una data simbolica, indetta ormai cinque anni fa dal sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, all’indomani del tragico arrivo nel porto delle 45 salme di migranti recuperate in mare dal pattugliatore Vega della Marina Militare italiana. I corpi senza vita, chiusi nelle sacche, furono gli ultimi a lasciare il pattugliatore che portò in salvo 629 migranti in quel 29 maggio 2016. 

Quest’anno la celebrazione non sarà al cimitero di Armo, là dove sono sepolti i migranti, ma nell’area adiacente la statua della Dea Athena, dove si assisterà alla deposizione nelle acque dello Stretto di un fascio di fiori donato dalla Città Metropolitana e trasportato da una motovedetta della Guardia Costiera di Reggio Calabria, in memoria di tutte le vittime delle migrazioni. Una cerimonia simbolica, un omaggio a tutte le persone che in questi anni hanno perso la vita mentre tentavano di fuggire da luoghi che sono purtroppo, ancora  oggi, teatro di scontri sanguinosi, di povertà e di negazione dei diritti inalienabili di ogni essere umano.

Ad Armo, infatti, è in atto un intervento, promosso dalla Caritas Diocesana, per la realizzazione di un nuovo cimitero dei migranti. Lì nella nuda terra ormai da cinque anni riposano i tanti migranti che non hanno superato la traversata. Un cimitero che sin da subito è stato amato dai cittadini e custodito. Tra le sepolture, alcune delle quali rimaste senza nome, sono state collocate infatti delle sculture donate dall’artista Luigi Scopelliti. Ritraggono delle rondini, uccelli migratori per eccellenza, poste su delle rocce come nuovamente in attesa di spiccare il volo, dopo aver vegliato su chi è già in volo per l’ultima volta.

Le sculture di Scopelliti

Dopo una ricerca l'artista scopre i nomi, la loro età, il paese di provenienza, e quei numeri si trasformarono piano piano in persone o un’idea di persona data solo dall’ immaginazione. Quei nomi  vengono scritti su lamiere arrugginite (come alcuni barconi che solcano il Mediterraneo) con smalto bianco, quasi a rimarcare quei nomi sulla freddezza del ferro.  “L’azione collettiva fu di stendere davanti a noi le targhe di ferro coi nomi  - ha spiegato Scopelliti - e ognuno li collocava sul  maddu  (termine dialettale per madido) e quel  maddu  ritornava ad essere grembo, ad accogliere nuovamente quei suoi figli. Le rondini pronte a spiccare il volo dirette a sud-est lanciano lo sguardo in fuga da quei nomi, verso l’infinito del cielo d’Africa”. L’arte e la memoria per un’azione collettiva di recupero di identità del migrante, come persona, per non ripetere gli errori della storia e non lasciare nell’invisibilità  l’altro.

Onorare la memoria

Il  3 giugno  assume, dunque, per la collettività intera una valenza importante per onorare la memoria dei senza nome.  “Nel caso dei migranti – spiega Graziella Bonansea in Piccolo lessico del Grande esodo – il corpo  in absentia  implica anche la negazione di un evento costitutivo nella storia delle culture: il rito della sepoltura a cui si accompagna una dimensione religiosa tesa al superamento della condizione di finitezza umana. … In un’Europa inadeguata a far proprio un fenomeno complesso quale quello migratorio, i “senza nome” rinviano al vuoto, alla dispersione, all’impossibilità di fondare, nell’atto stesso della sepoltura, la transizione da una generazione all’altra. Le conseguenze di queste perdite sul piano dei sentimenti e degli immaginari collettivi sono ancora tutte da contemplare”.  

Elaborazione del lutto

Dunque, elaborare il lutto è importante e lo spiega bene  Fabrice Olivier Dubosc  in Approdi e naufragi: “Rivendicare che una vita è degna di lutto è testamento dell’aspirazione a una vita degna di essere vissuta. Da questo punto di vista le migliaia di migranti che continuano a trovare precaria sepoltura nel Mediterraneo ci convocano – come direbbe Benjamin – a quell’«appuntamento segreto tra generazioni» che alcune immagini particolarmente pregnanti generano nei momenti di pericolo. Il naufragio in questione è anche quello della coscienza europea, tentata dalle passioni tristi del risentimento, dell’astio e della reazione immunitaria ad ogni alterità. Da questo punto di vista, il lavoro di chi tenta in più parti del mondo di onorare i morti elaborando i lutti e i traumi storici con un «sovrappiù di vita» risuona con le intuizioni della psicoanalisi e della psicologia analitica come con quelle della teologia della liberazione, del pensiero post-coloniale e della differenza. Se, da un lato, la storia è un sintomo in cui si intrecciano terrore traumatico e dimensione fantasmatica, l’irruzione nel presente di un perturbante che dal passato insiste a interpellarci ci risveglia alla possibilità di immaginare una riparazione etica ed estetica del mondo”.

Il 3 giugno, dunque, è una celebrazione collettiva affinché il lutto si trasformi in eredità per iniziare a sentire l’ethos altrui e costruire una nuova società aperta dove nessuno è escluso.

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