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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

Guerra di 'ndrangheta, dopo 32 anni il Dna incastra il killer dell'omicidio Cartisano

I carabinieri hanno arrestato Vincenzino "Enzo" Zappia, ritenuto il killer della cosca De Stefano-Tegano. Sarebbe lui, per gli inquirenti, l'autore del delitto

Dopo 32 anni, i carabinieri del comando provinciale, agli ordini del colonnello Giuseppe Battaglia, hanno risolto il caso dell'omicidio, avvenuto nel 1988, durante la guerra di ‘ndrangheta che insanguinò la città di Reggio Calabria.

Vincenzino Zappia, detto "Enzo", 52 anni, attualmente detenuto per altra causa, incastrato dal Dna, è stato raggiunto questa mattina da un'ordinanza di misura cautelare, perchè sarebbe, secondo gli investigatori, responsabile dell'omicidio, premeditato ed aggravato dai motivi abietti, di Giuseppe Cartisano, classe '67, assassinato a Reggio Calabria il 22 aprile del 1988. Il provvedimento è stato emesso dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria.

L’indagine, coordinata dal procuratore capo della Repubblica Giovanni Bombardieri e dal sostituto procuratore Walter Ignazitto, e avviata nel settembre del 2019, ha consentito di fare completa chiarezza su uno dei fatti di sangue più efferati ed eclatanti della faida reggina, a cavallo tra gli anni '80 e '90.

I fatti

I due killer entrarono in azione la sera del 22 aprile 1988 all’interno del bar gelateria Malavenda, nella centralissima piazza De Nava, dove affrontarono apertamente Cartisano, colpendolo a morte con numerosi colpi di arma da fuoco. Durante la loro fuga, però, furono intercettati ed inseguiti da una pattuglia dei carabinieri, contro i quali esplosero diversi colpi di arma da fuoco con lo scopo di fuggire.

"Durante il conflitto a fuoco - spiegano dal comando - rimase ucciso uno dei due sicari, Pellicanò; l’altro, oggi identificato nell’indagato Vincenzo Zappia, sebbene gravemente ferito, riuscì a dileguarsi, approfittando dell’aiuto fornitogli da ignoti complici".

Sulla scena del crimine, i carabinieri trovarono e repertarono, lungo la via di fuga dei killer, consistenti tracce ematiche. Si trattava del sangue che uno degli assassini aveva perduto, dopo essere stato colpito alla gamba nel corso del conflitto a fuoco.

Gli accertamenti tecnici condotti nell’immediatezza su quel materiale biologico, non consentirono, tuttavia, per le conoscenze tecnico – scientifiche dell’epoca, di risalire all'individuazione del colpevole.

Le indagini

Nel 2019, la Dda di Reggio Calabria, riesaminando le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (che avevano fornito indicazioni su quella vicenda nell’ambito del processo "Olimpia e nel corso di indagini successive), ha proceduto ad una nuova ed accurata verifica degli atti processuali, recuperando i reperti di tracce ematiche rimasti custoditi per più di trent’anni negli archivi giudiziari.

Sono stati quindi effettuati accertamenti genetico molecolari sui campioni di sangue sequestrati che, grazie alle moderne tecniche di laboratorio, hanno permesso ai Ris di Messina di estrapolare il Dna nucleare utile
per l'identificazione.

La successiva comparazione di laboratorio ha fornito la conferma definitiva sull’identità del killer, fuggito all’epoca dell'agguato mortale di piazza De Nava.

"È stata infatti riscontrata - spiegano i carabinieri - la perfetta sovrapponibilità tra il profilo genetico molecolare estratto dalle tracce ematiche rinvenute sulla scena del crimine e quello ricavato dal tampone salivare dell’indagato Vincenzino Zappia".

L'appartenenza di Zappia alla cosca dei "De Stefano - Tegano"

L’indagine ha ulteriormente certificato l’appartenenza di Zappia alla potente cosca di ndrangheta dei “De Stefano – Tegano”, attiva a Reggio Calabria, per conto della quale aveva portato a compimento anche l’omicidio del giovane Cartisano.

Le risultanze investigative hanno consentito di ben delineare la caratura criminale di Zappia, che all'epoca si era imposto "come uno tra i più spietati elementi dei gruppi di fuoco che la compagine di appartenenza, durante la seconda guerra di ndrangheta, aveva approntato per far fronte alle offensive delle cosche avversarie. Sullo sfondo una cruenta lotta senza quartiere ingaggiata per il predominio mafioso - territoriale sulla città di Reggio Calabria".

Il curriculum criminale di Vincenzino "Enzo" Zappia

Vincenzino Zappia, detto "Enzo", è un personaggio dall'importante caratura criminale. Per gli inquirenti "sin da giovane è tra le figure più in vista nel panorama criminale reggino che si consacra, in modo particolare, durante la "seconda guerra di mafia". Molto vicino al boss Giuseppe De Stefano, Zappia si è contraddistinto per essere un uomo d’azione, un killer spietato dello schieramento  "De Stefaniano", all’epoca dei fatti contrapposto a quello "Condelliano".

La carriera di Zappia, attualmente detenuto per altra causa, è ben delineata nell’inchiesta giudiziaria "Il Padrino", per la quale è stato tratto in arresto nel 2014 insieme ad altri numerosi esponenti delle cosche De Stefano – Tegano, tra loro federate, ad esito della quale veniva condannato alla pena di anni 17 di reclusione per associazione mafiosa.

La "seconda guerra di 'ndrangheta"

Tra il 1985 ed il 1991 la città di Reggio Calabria fu teatro di un cruento scontro armato tra le cosche passato alla storia come "seconda guerra di ndrangheta", all’esito della quale venne ridefinita la nuova struttura gerarchica ed organizzativa della ndrangheta.

Diverse sono le motivazioni che avevano spinto i clan ad entrare in guerra. Tra le cause che scatenarono il conflitto, i dissidi insorti tra le cosche Imerti e De Stefano che avevano manifestato un certo interesse ad espandere la loro influenza sul territorio di Villa San Giovanni, anche in previsione dei futuri interessi economici legati alla possibile realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina.

Il 16 febbraio del 1985, il boss Antonino Imerti alias "Nano Feroce", si sposa con Giuseppa Condello, sorella del boss Domenico "Micu u Pacciu", e cugina di Pasquale "Il Supremo".

Prima dell’inizio della guerra tra clan, i Condello erano federati ai De Stefano, in particolare Pasquale "Il Supremo" era uno degli uomini di fiducia del defunto boss Paolo De Stefano, la cui famiglia di 'ndrangheta guardò con forte preoccupazione all’unione tra le due cosche Imerti e Condello, ritenendo che da questo nuovo vincolo sarebbe potuta nascere una forte minaccia in grado di intaccare la loro egemonia sul territorio.

Da qui la decisione dei De Stefano di compiere un attentato alla vita di Antonino Imerti, nei confronti del quale, l'11 ottobre del 1985, venne fatta esplodere un’autobomba a Villa San Giovanni che causò la morte di alcuni suoi affiliati ma non quella del boss. In risposta al cruento attentato, due giorni più tardi, il 13 ottobre 1985, un commando armato formato da esponenti del clan Imerti – Condello entrò in azione nel quartiere di Archi, cuore del territorio dei De Stefano, uccidendo in un agguato il boss Paolo.

È questo l’evento che sancisce l’inizio della seconda guerra di mafia a Reggio Calabria, con la violenta contrapposizione tra le famiglie di ndrangheta presenti sul territorio e sostanzialmente suddivise in due cartelli:

quello "Condelliano" del quale facevano parte le famiglie mafiose degli Imerti, Saraceno, Fontana, Rosmini, Araniti, Lo Giudice, Serraino ed altri;

quello "De Stefaniano" cui facevano capo, invece, le famiglie mafiose dei Tegano, Llibri, Latella – Ficara, Barreca, Paviglianiti ed altre ancora.

Oltre 700 furono i morti accertati all’esito dello scontro armato, che si concluse nell’anno 1991 con una pace concordata tra le famiglie mafiose del mandamento reggino, le quali si divisero il territorio in zone di influenza.


 

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