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Cronaca

Sulle rive del lago di Como la 'ndrangheta non perde di vista gli affari illeciti

L'operazione "Cardine – Metal money" ha portato alla luce gli interessi delle cosche per il traffico di rifiuti pericolosi, senza trascurare le attività classiche di usura ed estorsione

Un negozio di arredamenti era diventato la base operativa di Cosimo Vallelonga, nome storico della malavita organizzata operante in Brianza. Lì il boss, il cui nome è apparso nelle inchieste “I fiori di San Vito” e “Infinito”, dopo la sua scarcerazione - per gli investigatori del Servizio centrale operativo - riceveva affiliati, organizzava il riassetto del clan e gestiva un cospicuo giro di usura.

Traffico di rifiuti, usura, estorsioni, riciclaggio e frodi fiscali, sono questi i reati contestati alle persone finite in manette all’alba di oggi, nell’ambito del blitz dell’Antimafia contro le cosche della ‘ndrangheta in Lombardia. In tutto sono stati 18 gli arresti eseguiti dal Gico della guardia di Finanza e dalla Squadra mobile locale, contro presunti affiliati ai clan calabresi, in particolare nella zona del Lecchese. In manette sono finiti anche soggetti ritenuti dagli inquirenti vicini ad una cosca con collegamenti con i De Stefano di Reggio Calabria.

Dieci sono finiti in carcere, e otto ai domiciliari, su ordine del gip del Tribunale di Milano. L’inchiesta, chiamata "Cardine – Metal money" è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci, già pubvblico ministero antimafia in forza alla Direzione distrettuale reggina. Il blitz ha riguardato tre regioni: Lombardia, Emilia Romagna e Liguria e ha portato al sequestro «per equivalente» di oltre 120 mila euro e delle quote di alcune società utilizzate dagli arrestati per le attività illecite. Durante le perquisizioni sono state trovate anche armi detenute illegalmente.

L’inchiesta, che ruota intorno alla figura di un nome storico della ‘ndrangheta in Lombardia: Cosimo Vallelonga ha portato alla luce anche un traffico illecito, gestito dal sodalizio disarticolato attraverso imprese che operavano nel commercio di metalli ferrosi e non ferrosi. Attraverso l’alterazione dei documenti di trasporto dei rifiuti sarebbero stati movimentate oltre 10mila tonnellate di rifiuti con fatture false per 7 milioni di euro. Nel corso dell’indagine è stato bloccato anche un pericoloso carico di rifiuti radioattivi, rame tranciato proveniente dalla provincia di Bergamo e bloccato dalla Polstrada di Brescia nel maggio 2018.

Gli episodi di usura ricostruiti dagli inquirenti, invece, sono stati otto. Si tratta di imprenditori lombardi in difficoltà economica: il capitale dato in prestito con tassi di interesse fino al 40% ammonta a 750mila euro.Per recuperare il denaro i membri del clan non esitavano a minacciare con armi da fuoco gli imprenditori.

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