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Lunedì, 29 Aprile 2024
Giustizia per l'imprenditrice / Laureana di Borrello

Processo per l'omicidio di Maria Chindamo, il fratello Vincenzo: "Non ho mai smesso di credere nello Stato"

Domani la prima udienza con un imputato per la morte dell'imprenditrice. Speranza nella famiglia che chiede giustizia da otto anni

La data di domani è un giorno atteso da otto anni per la famiglia di Maria Chindamo. La verità sul destino dell'imprenditrice di Laureana di Borrello scomparsa nel 2016 - uccisa in modo brutale, il cadavere distrutto in pasto ai maiali - è stata svelata qualche mese fa dall'agghiacciante testimonianza di un collaboratore di giustizia, e ora il crimine, che le indagini finalmente collegano alla 'ndrangheta, arriva nell'aula giudiziaria.

Domani presso la Corte d'assise di Catanzaro inizierà il processo per la morte di Maria con imputato Salvatore Ascone, proprietario di un terreno attiguo a quello appartenente a Chindamo. Arrestato nel blitz dall'inchiesta Maestrale-Carthago contro le cosche del Vibonese condotta dalla Dda catanzarese, il 57enne sarebbe membro dell’associazione mafiosa riconducibile alla cosca Mancuso e gli vengono contestati vari reati, tra cui l’omicidio di Maria Chindamo in concorso con altri due soggetti.

Ascone avrebbe manomesso l'impianto di videosorveglianza all'ingresso dell'azienda dell'imprenditrice a Limbadi, secondo le accuse proprio per consentire l'aggressione senza prove. Qui, davanti ai cancelli della sua ditta dove si recava ogni giorno, di Maria si persero le tracce il 6 maggio 2016, e da allora i familiari hanno portato avanti una battaglia per sapere cosa fosse successo e oggi per chiedere giustizia. 

Il fratello Vincenzo: "Dopo otto anni mi aspetto un inizio con una velocità diversa"

La prima udienza del processo è stata salutata con commozione da Vincenzo, fratello di Maria e instancabile militante contro l'omertà attorno a un delitto tremendo e impunito. In un post scrive: "Per otto anni abbiamo camminato sulle strade della speranza anche quando tutto sembrava perso. Un cammino sempre con meno solitudine e sempre più in compagnia di un fronte di rinascita, fatto da tante donne e uomini partendo dal cancello di Limbadi e dagli abitanti di Limbadi.

È significativo passare a comprare il pane ed essere riconosciuto ed accolto con il sorriso!" ll processo arriva a pochi giorni da una celebrazione speciale dell'otto marzo in memoria di Maria, con l'annuncio da parte dell'amministrazione comunale di intitolarle una via. Iniziativa che Vincenzo Chindamo definisce coraggiosa, aggiungendo: "Mi aspetto l’inizio di un percorso con una velocità diversa, in cui lo Stato si è reso più manifesto nel partecipare a questo cammino difficile. In otto anni ci sono stati silenzi operosi e si è lavorato molto, il processo ne è la dimostrazione. Non ho mai smesso di credere, lungo questo interminabile periodo, nello Stato".

Alla vigilia dell'udienza che sarà seguita anche dai media nazionali con gli inviati di Chi l'ha visto e Storie Italiane, Chindamo ringrazia i movimenti e le associazioni che lo hanno sostenuto nella sua crociata per la giustizia: Penelope Italia odv; Libera Vibo Valentia; cooperativa sociale Goel Bio e i gli avvocati Nicodemo Gentile ed Antonio Cozza. "Grazie anche alle tantissime scuole e a chi mi ha contattato sentendo di voler essere simbolicamente presente domani, anche per amplificare i nostri appelli". Accanto a Vincenzo ci sono i tre figli che hanno perduto Maria, mentre la madre dell'imprenditrice è scomparsa due anni fa senza conoscere una verità terribile ma dovuta alla memoria della figlia.

La terribile verità sulla morte di Maria svelata dall'indagine della Dda di Catanzaro

Quello che è successo a Maria Chindamo la famiglia lo ha scoperto con certezza nell'ambito dell'inchiesta della Dda di Catanzaro. A settembre la rivelazione choc del collaboratore di giustizia, resa nota dal procuratore Gratteri, ha ricostruito una storia violenta e aberrante, nel contesto di interessi economici e codici d'onore mafiosi. Il movente del delitto ruota attorno ai terreni acquisiti dall'imprenditrice dopo la morte del marito Vincenzo Puntoriero, suicida. Maria aveva rifiutato di cedere quelle terre, su cui per la Dda c'erano mire dei clan locali. Ma soprattutto la 'ndrangheta vibonese non poteva sopportare che quelle proprietà fossero detenute e gestite da una donna indipendente. Maria infatti fu punita anche perché aveva intrapreso una nuova relazione sentimentale, considerata un oltraggio al marito morto. Per questo l'imprenditrice venne uccisa, il suo corpo divorato dai maiali e i resti ossei frantumati sotto la fresa di un trattore. 

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