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Le intercettazioni

Il viaggio pericoloso e le telefonate: "Ora vado a prenderli se mi date 1300 euro"

Sono numerose le intercettazioni utilizzate dai carabinieri per riscontrare l'ipotesi accusatoria dell'inchiesta "Parepidemos"

"Ora vado a prenderli se mi date 1300 euro". A parlare è Mohammad Younus Yawar, uno dei quattro afghani finiti in manette all'alba di oggi quando i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria, coordinati dal colonnello Marco Guerrini, gli hanno notificato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Vincenzo Quaranta e riferita all'indagine "Parepidemos".

Mentre il suo interlocutore, allo stato sconosciuto, si lamenta per le condizioni in cui sarebbero stati abbandonati diversi migranti, compresi alcuni bambini, il giovane afghano risponde mettendo sempre al centro del suo ragionamento la cifra che sarebbe stata dovuta per il "servizio". 

"Pronto senti fratello - si legge nei brogliacci delle intercettazioni finite nelle carte dell'inchiesta - loro sono arrivati ad una quota. Hanno chiesto al tizio dove si trovano. Il tizio gli ha detto che stanno ancora in Italia, non ce la strada nella vicinanza e per scendere dall'altezza ci mettono 5 ore. Non hanno né cibo né acqua.... Non è colpa loro e i bambini hanno fame... Loro dalle 6 di mattina che camminano. Non hanno nemmeno acqua, sono affamati".

Mentre il gruppo di migranti sta affrontando uno spostamento a piedi sulle montagne italiane per raggiungere il confine con la Francia, un viaggio pericoloso dentro il quale sono finiti anche diversi bambini, dall'altra parte del telefono la risposta era fredda: "senti fratello manda i soldi a mio cugino e poi vediamo. Ora mangio qualcosa, appena arrivo a Nizza ne parliamo".

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