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Reggio nei racconti del passato

Quegli strani personaggi reggini in bilico tra irrazionalità e poesia

La gente li chiamava "pazzi", ma da Maria Ciaciola a Caramella oggi sono immagini di un tempo che non esiste più

Oggi le loro stranezze sarebbero virali e li vedremmo immortalati sui social e forse eletti a webstar, ma in un tempo che oggi sembra appartenere a un altro mondo la loro eccentrica apparizione nelle strade della città evocava un’innocenza selvatica, quasi permeata di poesia.

Erano i nostri freaks, figure che a raccontarle ora c’è chi penserebbe che non siano mai davvero esistiti. Anni '70 e '80, e anche più indietro nel passato. A ricordare chi furono certi personaggi sui generis di Reggio Calabria possono essere solo i boomer e qualche millennial che ha fatto in tempo a conoscerli prima della loro scomparsa, e a vedere cosa accadeva quando un uomo con cappello e occhiali scuri faceva roteare un bastone, o una vecchina rugosa come un frutto avvizzito andava in cerca di dieci lire come se fosse il prezzo di un biglietto per il paradiso.

Maria Ciaciola e le altre, quando la follia per le donne era un marchio ancora più crudele

All’anagrafe si chiamava Pizzi e chissà se si è mai resa conto del nomignolo di Maria Ciaciola, crudele nell’evocare l’aspetto cencioso di questa signora dall’età indefinibile, in apparenza molto anziana ma forse soltanto invecchiata dal vizio dell’alcol e l’abbandono igienico. Alta e dai colori nordici, doveva essere stata molto bella, chissà quando.

Completamente sdentata e con capelli chiari che per un incongruente vezzo civettuolo teneva raccolti con fiocchi, ai bambini di allora incuteva paura per l’espressione lupigna e il modo aggressivo con cui chiedeva il suo ossessivo oggetto del desiderio, la moneta da “reci liri” - non una di meno non una di più. Se la richiesta non era soddisfatta, Ciaciola reagiva con parolacce e spintoni, inseguendo minacciosamente anche i piccoli che osassero offenderla. Periodicamente condotta nell’ex manicomio di Modena per essere lavata a fondo con una pompa, nei suoi ultimi anni aveva una zazzera cortissima e non riusciva a camminare per una cancrena a un piede, tanto da farsi trasportare su una sedia a rotelle. I reggini hanno inventato per la sua fine un epilogo da realismo magico: a farla morire sarebbe stata una pulizia troppo energica da parte delle suore di Santa Teresa, un siluro di acqua e sapone che fu fatale alla sua pelle fragile.

Cinquant’anni fa la malattia mentale in una donna era uno stigma imperdonabile, e in una città come Reggio questo marchio condannava a un’emarginazione spietata. Come raccontò Alda Merini, le donne nervose o infelici erano streghe incurabili, da ridurre all’inermità come animali furiosi. Chi non ci stava con la testa era reietta, e senza neppure l’attenuante del genio e sregolatezza ammessa per gli uomini, che da matti sono divertenti sagome.

Maria Ciaciola non suscitava simpatia e neanche compassione. Evitata e derisa, la sua storia si confonde nella memoria con quella delle altre “pazze” più remissive o moralmente bollate, dalla prostituta Maddalena, alla dolce Amalia dalle chiome rosso fuoco in cerca d'amore, e la corpulenta Paoletta, motteggiata per l'ampio fondoschiena, con le sue eterne buste della spesa sempre piene, che nessuno mai ha capito cosa contenessero e perché le portasse con sé ovunque.  

Il video ricordo di Caramella e del poeta Balia

Caramella e il barbuto ‘Mbertu, nelle strade della città come su un palco circense

Personaggi che avrebbero potuto appartenere a un romanzo di Road Dahl erano Caramella e ‘Mbertu. Le mamme ai figli raccomandavano di non avvicinarsi troppo al primo, che secondo i bene informati era un ingegnere tedesco di origini nobiliari, capitato a Reggio per misteriose traversie, perché il bastone che lanciava in aria e riprendeva al volo con maestria avrebbe potuto colpirli.

Sul corso Garibaldi quel numero estemporaneo da circo molti glielo chiedevano con entusiasmo, e Caramella, a metà tra Charlot, il cappellaio di Alice e Willy Wonka, riconoscibile dal soprabito scuro e i capelli a caschetto e frangetta di un colore troppo brillante per non far pensare a una parrucca, eseguiva di buon grado ringraziando il suo pubblico. Parlava poco e per questo era identificato come straniero. Chi fosse davvero, nessuno lo sa, il gossip dell’epoca parlò di una delusione amorosa così forte da fargli perdere il lume della ragione.

‘Mbertu, signore senza fissa dimora con un lungo barbone nero, fu protagonista di un episodio avventuroso nel 1964, anno della prima volta della Reggina in serie B. Sembra che sia stata una sua intemperanza in campo, durante una cruciale trasferta della squadra amaranto a Crotone, a causare una pericolosa sconfitta a tavolino. Invece l’atto impulsivo di quello strano tifoso alla fine portò fortuna e la Reggina fu promossa: se dall’aldilà ‘Mbertu ci sta guardando, forse interverrebbe anche oggi, a salvare la situazione.

Il chiosco verde del letterato Poeta Balia, salvato da Italo Falcomatà

“Io mi chiamo Balia, perché con la mia sapienza e con i libri che vendo per poche lire, allatto la cultura della città". Così si era autobattezzato Demetrio Ferrara, titolare di uno storico chiosco di volumi usati installato già negli anni ‘40 accanto alla chiesa di San Giorgio al corso.

Rimasto orfano giovanissimo, si era inventato quel mestiere, che svolgeva riciclando i suoi vecchi libri o procurandosene altri, da romanzi a dizionari, che commerciava nella struttura in legno e lamiera che aveva costruito con l’aiuto amichevole di un falegname della città.

Quel chiosco dove i libri, compresi quelli acquistati e venduti dagli studenti a prezzo stracciato, si accatastavano caoticamente, divenne presto familiare ai reggini. Il Poeta Balia, che ebbe una moglie e due figli chiamati significativamente Flavia, Giuseppe Dante e Antonino Virgilio, era coltissimo e dalla sua postazione recitava con timbro attoriale la Divina Commedia e con l’opera del Vate tra le mani lo si poteva vedere spesso in giro per Reggio, intento a leggere e borbottare tra sé, preso da un sacro fuoco letterario.

Abile anche nella lettura di versi in uno stentoreo tedesco maccheronico, si definiva anche oracolo promettendo schedine vincenti del Totocalcio, che vendeva assicurando l’obiettivo del 13, ma nessuno mai è tornato a dire che davvero grazie a lui fosse diventato milionario. Autore di poesie ispiratissime, che presentava dal suo personale speaker’s corner librario, dopo quasi cinquant’anni un’ordinanza prefettizia lo accusò di abusivismo imponendo la chiusura del chiosco.

La querelle dei gazebo era lontana anni luce: i reggini si schierarono dalla sua parte con una raccolta di firme per chiedere la riapertura della struttura e sarebbe stato Italo Falcomatà, pochi mesi dopo la sua elezione, a revocare il divieto restituendo al poeta il suo piccolo angolo di osservazione sull’universo e l’umanità.

Il poeta Balia ed il suo storico chiosco: il video

Nel 2000 Balia è morto, e il fratello ha svuotato il chiosco, che oggi affiora soltanto dai ricordi di chi tante volte era andato a spulciare tra saggi, vocabolari e testi scolastici, guidato dallo sguardo bonario di un uomo dall’animo puro, come solo chi ama i libri riesce a mantenere.  

Dopo la chiusura dei manicomi, i pazzi non esistono più, forse sull’onda della cancel culture questa è diventata una parola offensiva e impronunciabile, da sostituire correttamente con quelle dei manuali medici, termini che i crismi scientifici dovrebbero rendere oggettive scongiurando il rischio di discriminazioni.

Chi furono, allora, Maria Ciaciola, Caramella, Nino Mazzola “Non però”, ex sarto che portava fieramente il nome del suo idolo calcistico e dissertava di calcoli matematici? Che vita ebbe Franchina, gay degli anni Sessanta bersagliato da un ferocissimo bullismo omofobo e dissolto nella sua stessa solitudine? Di loro resta traccia negli aneddoti di qualche libro, o in cartoline vintage pubblicate nelle community dei “come eravamo”.

Quando Reggio era bella e gentile, questi uomini e donne simili a folletti imprevedibili erano la metà oscura di quella che un tempo si chiamava normalità, l’ombra che rifuggivamo da noi stessi e tramite loro era esorcizzata. Che nessuno è ‘normale’ adesso lo sappiamo. E gli spiritelli che incontriamo oggi a Reggio sono rimasti in pochi a dileggiarli. Anzi li ammiriamo perché in fondo vorremmo avere il coraggio di vivere così pure noi, con quella leggerezza di cuore.

  

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