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L'anniversario

La terra tremò nello Stretto e fu distruzione, erano 114 anni fa

All'alba del 8 dicembre 1908 avvenne uno dei sismi più violenti della storia italiana, che provocò oltre 100.000 morti e rase al suolo Reggio e Messina

La cronaca di quel terribile giorno è impressa per sempre nella memoria di chi, allora ragazzino, riuscì a sopravvivere alla virulenza distruttiva della terra: erano le 5.20 del 28 dicembre 1908, 114 anni fa, e quando il sisma potentissimo, di magnitudo 7,2 Ritcher, si abbattè su Reggio e Messina, molte delle vittime non se ne accorsero perché dormivano e non si sarebbero più svegliate. Furono 37 secondi di terrore e caos, brevi e lunghissimi, sufficienti a radere al suolo le due città dello Stretto e a scatenare, nelle stesse acque dove gli studiosi oggi individuano la faglia responsabile del movimento tellurico, un tremendo maremoto, che flagellò tutte le località costiere della zona con onde alte fino a 12 metri.

Dopo il sisma le città rimasero isolate: i mezzi di comunicazione non funzionavano più, le strade erano distrutte o impraticabili. Tra le macerie si contarono oltre 100.000 morti, un tributo maggiore lo pagò Messina in rapporto al numero di abitanti dell'epoca. Gli aiuti alle popolazioni terremotate arrivarono persino dallo zar russo, che inviò un'intera flotta navale. Nella fiera gastronomica di Parigi fu promossa un'asta di beneficenza a favore dei "sinistres" meridionali, dove fu venduta anche la pelle di un orso dell'Aspromonte.

Faceva freddo e ogni notte, per oltre tre mesi, scosse di assestamento si ripeterono terrorizzando la gente. 

E' una pagina drammatica della storia italiana, che continua ad essere raccontata non soltanto da geologi e tecnici. Del 28 dicembre 1908 scrissero Giovanni Pascoli ("questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni/Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia") e Salvatore Quasimodo ("Il terremoto ribolle da due giorni, è dicembre d'uragani e mare avvelenato"), l'ultima voce letteraria è stata quella di Nadia Terranova con l'intenso romanzo "Trema la notte". 

Impossibile dimenticare per chi può raccontare come testimone diretto quella catastrofe e in quell'alba oscura perse parti importanti della famiglia - genitori, fratelli, figli piccolissimi. Ogni anno Reggio e Messina celebrano una ricorrenza dovuta ai morti del nostro dolorissimo Big One - per la verità lo fa molto di più la dirimpettaia siciliana, dove nella data del 28 dicembre si prevedono iniziative istituzionali che invece appaiono latitanti da questo lato dello Stretto. 

Gli aiuti statali e il discorso in parlamento di Giuseppe De Nava

Un messaggio è giunto oggi anche dalla Camera dei deputati, dalla quale si è rievocato l'impegno dello stato e del governo presieduto da Giovanni Giolitti, che con una discussione di massima urgenza aveva presentato un disegno di legge per "provvedimenti a sollievo dei danneggiati dal terremoto dei 28 dicembre 1908", approvato in tempi record, meno di 24 ore. Tra i promotori dell'iniziativa c'era il parlamentare reggino Giuseppe De Nava, che così commentava in aula durante il dibattito: "Un popolo intero è quasi perito, e con esso caddero i tetti sotto i quali nacquero i nostri padri, e dove noi nascemmo, le chiese dove pregarono le nostre madri, i musei dove eran raccolte le nostre memorie e i nostri tesori, gli archivi ove erano depositati i documenti sugli uomini e sulle cose; tutto abbiamo perduto, quasi la natura abbia voluto in un attimo interrompere per noi i secoli della storia. Tutto ha capovolto la furia devastatrice". 

Giuseppe De Nava

L'onorevole ricordava poi la tragica morte di Demetrio Tripepi, già sindaco di Reggio, ucciso dal terremoto insieme alla moglie lasciando nove orfani, e a un altro conterraneo illustre, il collega Giuseppe Valentino, ferito gravemente nelle rovine di una villa cittadina. Il documento citato dalla Camera dei Deputati riporta anche una piccola polemica per l'omissione tra i ringraziamenti di De Nava alle squadre di soccorso inglesi, che allestirono un ospedale da campo sulle spiaggia di Catona, ma non a quella della Russia. Il deputato reggino concludeva: "La più gran parte della popolazione superstite della costa calabra dove io sono stato questi giorni, da Bagnara a Reggio, desidera restare sul suolo nativo ed essere aiutata efficacemente a risorgere, a lavorare per la. grandezza e l'avvenire della patria. Uno sforzo titanico, concorde, di energia e di volere, l'Italia deve farlo, e lo farà, per la risurrezione di quella regione".

Nel cimitero monumentale di Condera esiste un sacrario collettivo dopo riposano i morti del terremoto, destinatari di preghiere speciali nel giorno dei defunti. Ma, come dicevamo, a differenza di Messina, in città non sono stati organizzati riti ufficiali al di fuori delle celebrazioni religiose. Non a caso la terribile calamità è nell'immaginario collettivo associata soprattutto alla città siciliana e questo nonostante dalla parte di Reggio si registrò un contributo importante all'opera di ricostruzione, ideando un modello a scacchiera tra gli edifici in modo da tracciare una via di fuga a piedi verso le zone alte, dove rifugiarsi in caso di terremoto, e negli stessi palazzi furono creati cortili e zone per facilitare l'evacuazione.

Reggio in particolare si avvalse della professionalità eccezionale di Gino Zani, talentuoso ingegnere sanmarinese e tra i primi ad aderire in quello stato al Partito Socialista, che dopo essersi formato all'università di Bologna, fu inviato dal governo nell'area calabrese del sisma. C'era penuria di professionisti e si assoldavano temporaneamente i giovani usciti dagli atenei, ma per Zani le cose andarono diversamente. In Calabria conobbe il celebre sismologo giapponese Omori e da lui apprese la conoscenza che poi avrebbe applicato restando in questa terra dopo aver vinto un concorso al Genio Civile e progettando le case asismiche. Dopo il matrimonio con la reggina Graziella Spadaro, continuò ad operare per la città inserendo nel piano regolatore il disegno del Lungomare e firmando il progetto del palazzo della Prefettura. 

Il monito incessante degli studiosi sullo stato delle abitazioni

L'impatto del terremoto del 1908 resta anche come monito per la prevenzione e le norme di sicurezza in caso di eventi sismici: proprio per questo la più grande esercitazione di Protezione Civile mai organizzata, lo scorso novembre, ha avuto come sede le due città dello Stretto - ovvero zona sismica 1 e pure l'area di massima difficoltà di intervento. Proprio qui, tra gli studiosi accorsi sui luoghi del disastro, nel 1908 Giuseppe Mercalli aveva aggiunto alla sua scala il grado XI, denominato “catastrofe”. Dopo 114 anni, in realtà qui non siamo molto più preparati di prima, e se sappiamo bene che nessun sisma potrà mai essere previsto, Calabria e Sicilia continuano però a nascondere la testa sotto la sabbia davanti al vero problema, quello edilizio. Già nel 2008 l'Università di Messina aveva condotto uno studio nel quale si dimostrava che, in caso di terremoto di pari magnitudo, oltre la metà delle abitazioni non reggerebbe. Nello stesso rapporto erano state coperte con delle "x" le cifre relative alle vittime degli eventuali crolli, e solo a vista erano tante crocette al posto dei numeri. Scenario non diverso, secondo il geologo Mario Tozzi, riguarderebbe Reggio, tanto che lo studioso ha definito il ponte sullo Stretto come un collegamento tra due cimiteri - riferendosi, precisiamo, non all'infrastruttura ma alla tenuta sismica delle case, che per Tozzi rende il ponte un'opera secondaria rispetto all'emergenza di un adeguamento edilizio. Gino Zani stavolta non ci sarà e questa è un'altra storia che forse può raccontarci la commemorazione di quella mattina di devastazione, 114 anni fa. 

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