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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Le attenzioni della 'ndrangheta sul traffico illecito di rifiuti scoperto dai carabinieri del Noe

Sono cinque le persone di origine calabrese finite nelle carte dell'inchiesta firmata dal gip di Torino Giacomo Marson. Nelle intercettazioni le preoccupazioni degli imprenditori del nord per l'arrivo dei "mandarinai della Calabria"

I “mandarinai”, così li chiamava una delle figure centrali attorno alla quale ruota l’indagine del Noe di Milano sull’imponente traffico illegale di rifiuti registrato fra il Piemonte, la Lombardia ed il Veneto. I “mandarinai” erano i calabresi che, avendo fiutato i lucrosi guadagni nascosti dentro le ecoballe, avevano scelto di puntare forte su questo business, di entrarci a gamba tesa con il sostegno della ‘ndrangheta che, per il gip di Torino Giacomo Marson e per gli investigatori, sarebbe “il livello superiore, dislocato in Calabria” delle due organizzazioni che sono state disarticolate dall’indagine dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico.

I calabresi finiti nell'inchiesta

E nelle carte dell’inchiesta c’è tanta Calabria. In carcere ci sono finiti: Antonino Napoli, nato a Polistena nel 1954, già conosciuto alle forze dell’ordine, attualmente residente a Reggio Emilia e Giuseppe Pesce, rosarnese di 32 anni e domiciliato in Brianza Gli arresti domiciliari, invece, sono stati concessi a Daniele Frustillo, cariatese di 35 anni, mentre a Domenico Aquilino, 62enne di Cardeto ma residente a Catania è stata applicata la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Un crotonese risulta indagato.

L'intercettazione

“Hai visto - questo lo sfogo preoccupato di uno degli arrestati captato dalle microspie dei Carabinieri - che ci sono in giro tanti mandarinai? Il mio avvocato non mi fa rilasciare… come il tuo ti tutela anche il mio non mi fa più … perché mi hanno fatto dei copia incolla delle mie autorizzazioni in giro dei mandarinai di merda no? perché adesso raccogliamo dei mandarini della Calabria no? sono in giro a rompere i coglioni a chi fa il nostro lavoro da decenni e sono in giro a raccogliere a fare disfare e portare!”.

I raggiri usati per smaltire i rifiuti

La parola chiave dell’inchiesta è “autorizzazioni”. Le verifiche e i controlli eseguiti sui vari siti via via individuati consentivano di ricostruire il modus operandi del gruppo criminale che operava attraverso: il controllo di un impianto formalmente autorizzato dagli enti competenti al ricevimento, recupero e/o smaltimento di rifiuti speciali; la disponibilità diretta di uno o più capannoni dismessi acquisiti attraverso contratti di locazione, privi di qualsivoglia titolo autorizzativo alla gestione dei rifiuti, nonché sprovvisti dei presidi antincendio, dove poter stipare abusivamente i rifiuti; la presentazione presso il Suap (Sportello unico attività produttive) di un’istanza diretta ad avviare un procedimento amministrativo al fine di ottenere un’ autorizzazione in regime semplificato per il recupero di rifiuti non pericolosi. Tale tipo di richiesta rappresenta spesso un particolare escamotage amministrativo a cui fare ricorso per eludere i controlli perché fornisce una apparente legittimazione formale all’attività posta in essere nei capannoni industriali acquisiti per stoccarvi i rifiuti.

Trasbordi e giro bolla

I rifiuti vengono pertanto immessi nel circuito illegale utilizzando un falso codice dell’elenco europeo dei rifiuti (Eer) riferito prevalentemente a “plastica e gomma” oppure a” imballaggi di materiali misti”, cioè rifiuti su cui è ancora possibile un recupero di materia, in luogo del corretto codice corrispondente ai rifiuti che non presentano frazioni valorizzabili, che possono quindi essere smaltiti solo in discarica autorizzata o termovalorizzatore. Il traffico illecito di rifiuti si estrinsecava attraverso due operazioni illegali: i trasbordi di rifiuti da un camion ad un altro. I rifiuti – così come ricevuti dal produttore – venivano ricaricati su di un automezzo (che i soggetti indagati in gergo chiamato “navetta”) di proprietà di una ditta di “fiducia” e smaltiti abusivamente presso i capannoni industriali prescelti da destinare a discarica abusiva di rifiuti; un’operazione del tutto clandestina di trasferimento illegale di rifiuti da camion a camion.

Documenti fittizi

L’altro stratagemma usato era quello del cosiddetto giro bolla, attraverso la quale il gestore dell’impianto fa apparire adempiuti gli obblighi di ricevimento e recupero senza in realtà neanche scaricare dal mezzo i rifiuti ricevuti con regolare formulario di identificazione mentre all’autista del mezzo che li trasferisce (anche in questo caso di “fiducia”) viene rilasciato un documento di trasporto che attesta formalmente il trasferimento di materiale ottenuto da operazioni (fittizie) di recupero e/o riciclaggio.

"Diffusione rilevantissima del sistema"

Con questi meccanismi truffaldini, secondo le stime dei Carabinieri del Noe, sarebbero stati movimentate oltre 23 mila tonnellate di rifiuti, un quantitativo che per essere spostato da un sito all’altro avrebbe richiesto l’utilizzo di 1000 camion. Il gip, nella sua richiesta di applicazione di misure cautelari, così commenta quanto scoperto dal Noe: “una rilevantissima diffusione del sistema che coinvolge imprenditori dislocati in ogni parte d’Italia”.

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