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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Alla Sapienza undici pietre d'inciampo per ricordare le vittime delle mafie

L'università capitolina decide di ricordare, fra gli altri, il sacrificio di Lea Garofalo e del giudice Bruno Caccia, uccisi dalla 'ndrangheta

Sono state inaugurate questa mattina dalla rettrice Antonella Polimeni le undici pietre d'inciampo poste lungo il viale principale della città universitaria della Sapienza per ricordare donne e uomini, vittime di mafia in tutto il nostro Paese. I nomi ai quali sono intitolate le targhe sono quelli di Giuseppe Impastato, Rita Atria, Giancarlo Siani, Lia Pipitone, Rosario Angelo Livatino, Lea Garofalo, Peppino Diana, Renata Fonte, Bruno Caccia, Gelsomina Verde, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

"Aver voluto tracciare questi cento passi con pietre di inciampo, ognuna dedicata a donne e uomini che hanno lottato contro le mafie, sottolinea il valore della memoria e delle testimonianze" afferma la Rettrice Antonella Polimeni. "Il fatto che questo progetto sia stato portato avanti dalle studentesse e dagli studenti -sottolinea- è di particolare rilievo: la formazione alla legalità deve essere un tema da sviluppare nel percorso scolastico, perché i giovani in primis devono essere portatori di questi ideali".

Le figure ricordate nelle targhe sono emerse dai sondaggi lanciati sulle pagine facebook e instagram di alcune associazioni studentesche, nell'ambito del percorso "Cento passi verso la Legalità", in adesione al bando della Fondazione Falcone "Le Università per la Legalità" 2019-2020.

Si tratta di donne e uomini impegnati come giornalisti, magistrati, forze dell'ordine e politici, ma anche cittadini comuni uccisi in quanto testimoni di giustizia o per il loro impegno civile e simboli della lotta alle mafie come Giuseppe Impastato, giornalista, attivista politico, ucciso a 30 anni (Cinisi 5 gennaio 1948, Cinisi, 9 maggio 1978); insieme a Rita Atria, è tra i pochi casi di persone appartenenti a famiglie mafiose siciliani che ne prendono pubblicamente le distanze e denunciano. Rita Atria, testimone di giustizia, 17 anni, si uccise una settimana dopo la strage di via D'Amelio perché, proprio per la fiducia che riponeva nel magistrato italiano Paolo Borsellino, si era decisa a collaborare con gli inquirenti (Partanna, 4 settembre 1974 - Roma, 26 luglio 1992).

A loro si aggiungono Giancarlo Siani, 26 anni, giornalista, assassinato dalla camorra. (Napoli, 19 settembre 1959 - Napoli, 23 settembre 1985); Rosalia "Lia" Pipitone, 25 anni, uccisa con il consenso del padre Antonino Pipitone, capomafia della famiglia Acquasanta di Palermo, per aver intrattenuto una presunta relazione extraconiugale, violando in questo modo l'onore della sua famiglia, secondo le regole Cosa Nostra (Palermo, 16 Agosto 1958 - Palermo, 23 Settembre 1983); Rosario Angelo Livatino, 38 anni, magistrato, assassinato dalla stidda. È venerato come beato e martire dalla Chiesa cattolica (La stidda è un'organizzazione criminale italiana di tipo mafioso, che opera in prevalenza in Sicilia, in particolare nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Catania e Ragusa) (Canicattì, 3 ottobre 1952 - Agrigento, 21 settembre 1990).

E ancora: Lea Garofalo, 35 anni, testimone di giustizia, vittima della 'ndrangheta, dal 2002 decise di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco (Petilia Policastro, 24 aprile 1974 - Milano, 24 novembre 2009); Giuseppe "Peppe" "Peppino" Diana, 35 anni, presbitero, insegnante, attivista e scout italiano, assassinato dalla camorra per il suo impegno antimafia speso prevalentemente tra i giovanissimi di Casal di Principe (Casal di Principe, 4 luglio 1958 - Casal di Principe, 19 marzo 1994); Renata Fonte (Nardò, 10 marzo 1951 - Nardò, 31 marzo 1984) politica italiana, prima donna nel 1982 ad assumere la carica di assessora alla cultura e alla pubblica istruzione, vittima di mafia per aver denunciato la speculazione edilizia che stava interessando l'area di Porto Selvaggio.

Nella lista compaiono anche Bruno Caccia, 66 anni, magistrato ucciso dalla 'ndrangheta mentre ricopriva l'incarico di Procuratore Capo della Repubblica a Torino (Cuneo, 16 novembre 1917 - Torino, 26 giugno 1983); Gelsomina Verde, 22 anni, torturata e uccisa dalla camorra, dopo le sevizie il corpo venne dato alle fiamme all'interno della sua auto.

Estranea agli ambienti criminali lavorava come operaia in una fabbrica di pelletteria e nel tempo libero si occupava di volontariato: la sua "colpa" era quella di essere stata legata sentimentalmente per un breve periodo molti mesi prima di essere uccisa con Gennaro Notturno, parte del cosiddetto clan degli scissionisti di Secondigliano (Napoli, 5 dicembre 1982 - Napoli, 21 novembre 2004) e infine Giovanni Falcone e Paolo Borsellino Magistrati, assassinati dalla mafia nel maggio e nel luglio del 1992 (Palermo, 18 maggio 1939 - Palermo, 23 maggio 1992) (Palermo, 19 gennaio 1940 - Palermo, 19 luglio 1992).

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