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Venerdì, 26 Aprile 2024
Il personaggio / Ferruzzano

Little Joe Zangara, l'anarchico di Ferruzzano che credeva nella giustizia

Ettore Castagna racconta il romanzo che ha dedicato all'emigrante reggino finito sulla sedia elettrica per aver sparato al sindaco di Chicago

L’epopea di un piccolo uomo con la sua impresa folle, che fu solitaria ma in nome della giustizia e quindi dell’intera umanità. Piccolo in tutti i sensi, perché Giuseppe Zangara, ferruzzanese emigrato in America negli anni Venti del secolo scorso e protagonista del romanzo “I gabbiani vengono tutti da Brooklyn” di Ettore Castagna (edizioni Sensibili alle Foglie), era alto un metro e 50 centimetri e pesava 48 chili. Scuro e “cazzicagliusu”, cioè nero anche d’umore, selvatico, ispido e nervoso, era stato battezzato Little Joe dallo zio Vincent, che portava nel paesino jonico le suggestioni della lontana Merica quando il nipote era un ragazzino lunatico come le capre e meno utile dei maiali - ché “il porco te lo mangi, il figlio non te ne viene niente”, sentenziò il padre quando Giuseppe aveva osato chiedere di ricucire pantaloni strappati, rimediando sonore pedate nel sedere.

Zangara fu protagonista nel 1933 di un episodio eclatante. Durante un comizio a Miami tentò di uccidere il presidente americano Roosevelt ma sbagliò bersaglio e colpì a morte il sindaco di Chicago Anton Cermak e venne condannato alla sedia elettrica. Lo scrittore e musicista Castagna racconta la sua storia facendo sconfinare i fatti veri con la narrativa, immaginando la genesi di quella violenta sete di vendetta che fu insensata ma profondamente ideologica e affondava le sue radici dell’infanzia di Little Joe, cresciuto senza madre e con un padre padrone che voleva tenerlo analfabeta e a testa bassa. Ma lui era più furbo e riuscì a imparare a leggere e scrivere andando a scuola di nascosto approfittando delle partenze americane del padre, unendosi ai bambini che usufruivano dei passaggi sull’automobile del notaio. Quasi una giostra, come la naca rudimentale dell’indimenticabile camminata tra timpe e fiumare con il nonno, che gli raccontava del carosello vero, quello della Festa di Madonna di Reggio Calabria su un corso cittadino inaccessibile a loro, che non possedevano le scarpe adatte per quell’occasione elegante.

Nato in una famiglia povera nella Ferruzzano dove un sindaco socialista sfidò il regime

La famiglia Zangara era povera e socialista e lui venne su ostile a ogni diseguaglianza: per essere socialisti non serve aver studiato, bastano l’idea ed essere sempre dalla parte dei lavoratori, grazie ai quali gira il mondo. Little Joe capì subito che erano quelli che stavano peggio di tutti, e che intorno, dal re al principe Carafa agli ufficiali militari, gli altri erano sfruttatori non da rovesciare politicamente ma farli fuori. Ammazzarli, proprio. Soffriva di una malattia cronica all'addome ed era convinto che la causa fosse quella: “Capitalism make me sick in the stomach”, dice nel libro.

Con l’avvento del fascismo non ce la fece, e nel 1923 s’imbarcò per la Merica. La prima cosa che nota a Brooklyn sono i gabbiani, invadenti come cattivi pensieri. Ce ne sono tantissimi e arrivano attratti dagli avanzi di cibo, l’immondizia, le scorie delle navi: animali del luridume, a farli così e a pascerli sono gli italiani con le loro case olezzanti di cucinato, cipolla e stanze da letto condivise in tanti. La puzza è tesserino d’identità del lavoratore, contrapposta al profumo dei ricchi, che non ha un odore suo perché è roba che si compra e pecunia non olet. I veri anarchici sono a Ferruzzano, si sarebbe poi vantato con i tiepidi rivoluzionari americani di Paterson, dove lavorava come muratore con in tasca la tessera del partito repubblicano. Raccontando di quando fu il prefetto Zalino a dover bere l’olio di ricino e il sindaco socialista Sculli all’obbligo di crocifisso in uffici e scuole stabilito dal Duce rispose senza fare una piega, tranquilli qui è pieno di poveri cristi in croce.  

Castagna, Little Joe è un personaggio affascinante e poco noto. So che per raccontarlo hai studiato gli atti del processo dall’archivio di stato della Florida e sei andato alla ricerca dei pochi amici e parenti di Zangara rimasti a Ferruzzano. Come ti sei avvicinato a questa storia e da cosa nasce l’idea del libro?

“L’idea nasce piuttosto banalmente nel momento in cui, una ventina d’anni fa inizio a leggere qualcosa sulla strana storia di Little Joe. Inizialmente era più facile trovare qualcosa in inglese. Poi in Italia ha iniziato a circolare qualcosa di taglio più o meno giornalistico. Negli Stati Uniti è una storia abbastanza nota, in Italia solo il teatro ha dato qualche segno di interesse verso la storia di Little Joe che appare, a un primo avvicinamento oscura, inafferrabile, inclassificabile. È questo che ha scatenato il mio interesse”.

Ettore Castagna

Il protagonista è un rivoluzionario, un anarchico, un ribelle vero che non accetta ingiustizie e rivendica coerenza nell’opporsi a soprusi e diseguaglianze. Il tuo è un libro sul desiderio di giustizia ma sembra suggerire anche che la ricerca e la lotta possano arrivare solo dal basso, da chi non ha la pancia piena, insomma. Eppure quel senso popolare di rivolta (che hanno ad esempio oggi i francesi) è ormai estinto anche in queste fasce sociali. Noi calabresi da secoli non siamo affatto più figli né nipoti dei briganti. Può nascere ancora qui oggi un Little Joe Zangara?

“Mi fai una domanda difficilissima che solleva dei temi sui quali ho delle posizioni personali alle quali sono arrivato rovistando fra le pieghe della Storia sociale e antropologica del Sud. Il brigantaggio fu un fenomeno contraddittorio. Quelli che ebbero una coscienza politica furono veramente pochi altrimenti una ribellione così generale avrebbe stravinto. Prevaleva un generico ribellismo misto a spirito di rivolta dal quale però non scaturiva nessun progetto e, tantomeno nessuna pulsione rivoluzionaria. Ciò non significa che il Sud (e la Calabria) non abbiano fatto grandi e importanti tentativi di cambiamento.  Come dice un grande scrittore come Gioacchino Criaco: ‘Ci abbiamo provato ad essere diversi’. La Calabria ha espresso vari momenti importanti di lotta contadina per la terra e per il lavoro nel corso del XX secolo, la Jonica catanzarese e reggina hanno avuto significativi episodi di lotta rivoluzionaria e libertaria negli anni ’70. Oggi l’intero Sud risente di quell’allontanamento dalla politica come passione civile che invece coinvolgeva così tanto la mia generazione. Secondo me il Sud cerca ancora se stesso a un secolo e mezzo dall’Unità travolto da quello che Pasolini avrebbe definito ‘uno sviluppo senza progresso’ Joe Zangara  rappresenta un tentativo drammatico e solitario di ricerca di giustizia in una solitudine che affonda le radici in un’infanzia ingiusta e miserabile. In questo senso il mondo è pieno di potenziali Joe Zangara”.

Molte pagine del libro sono dedicate ai ricordi di Zangara a Ferruzzano quando era ragazzo, ma in una forma lirica descrivono pure il paese come è oggi, un luogo fantasma cancellato da fenomeni di emigrazione e lo spopolamento. Il distacco tra le due epoche nella letteratura è molto stridente, come lo commenti?

“Ci sono voci più illustri della mia che hanno trattato questo tema. Penso all’importanza degli scritti di Vito Teti. Certo la Calabria rappresenta un fenomeno incredibile di convivenza fra paesi quasi fantasma per buona parte dell’anno che ritornano in vita ad agosto, a Pasqua e a Natale. I Calabresi, sin dall’Unità sono saldamente in testa alla classifica della regione con il maggior numero di emigrati. Vado un po’ a memoria ma, tempo addietro, ho letto che se tutti i discendenti di calabresi nel mondo tornassero di colpo saremmo venticinque milioni. Cosa posso dirti di fronte a un fenomeno così imponente? Mi sento sinceramente troppo piccolo. Se, come ha detto qualcuno, l’emigrazione è l’unica forma di protesta a disposizione degli sfruttati bisogna dire che i calabresi hanno protestato molto”.

Un altro tema che affiora nel libro è l’emigrazione dei nostri padri e nonni verso la Merica. E descrivi traversate in un mare che anche allora poteva diventare bara per chi partiva. Questo parallelismo metaforico in rapporto con l’emigrazione di oggi e le tragedie dei naufragi è voluto? In cosa sono diversi e uguali gli emigranti verso Ellis Island e quelli che arrivano sulle nostre coste oggi?

“L’emigrazione corrisponde sempre a radici strappate, terribili ferite emotive e crisi di nostalgia, incontri e scontri di culture lontane, difficoltà di integrazione e convivenza che potevano diventare drammatiche. In Nord America, l’emigrante meridionale che mangiava aglio e cipolla rispetto ai wasp, era considerato ‘puzzolente’, oggi la dieta mediterranea è una moda di massa. Tutte le forme di emigrazione hanno punti di contatto, spesso immigrazione e discriminazione sono direttamente collegate. L’Occidente oggi oscilla paurosamente fra rifiuto e accoglienza, rigurgiti neorazzisti e crisi umanitarie. È un momento drammatico per l’intero pianeta che pone a tutti il problema della Giustizia, intesa come un mondo giusto, equo dove tutti abbiano lo stesso diritto alla vita e alla felicità”.

Il romanzo

Ne abbiamo già parlato in un’altra occasione a proposito di sonu a ballu, e non posso non chiederti della danza scherma che descrivi in alcune bellissime pagine del libro. Cosa rappresenta quella scena nella storia di Zangara?

“La mia formazione antropologia è materia prima per i miei romanzi e devo dire di grandissima utilità quando bisogna ricostruire ambienti e momenti di vita quotidiana e di cultura condivisa. La danza scherma rientra nella tradizione contadina del Sonu a ballu, quello che oggi tanti chiamano ‘tarantella’. Si trattava di una soluzione ‘ballata’ e duellata dei conflitti nella comunità progressivamente scomparsa dall’uso sociale in Calabria negli anni ’60 del ‘900 e definitivamente negli anni ’70. Nella scena a cui fai riferimento ho descritto una situazione di danza scherma come era molto comune fra le due guerre nelle descrizioni degli anziani soprattutto della Jonica. Molte osterie avevano le cosiddette ‘sale di scherma’ dove in certi momenti e situazioni si ‘schermiava’ ”

Quale battaglia oggi farebbe Little Joe in Calabria? Chi o cosa simbolicamente vorrebbe uccidere perché è davvero un male per la nostra terra e la sua gente?

“Little Joe era un solitario, uno che attese dieci anni l’occasione per sparare al Capo del Capitalismo, si muoveva esattamente come altri anarchici di primo ‘900… Gaetano Bresci, Leon Csolgosz, l’eroe ‘giovane e bello’ della Locomotiva di Guccini miravano tutti al tirannicidio… In fondo ‘Addio Lugano Bella’ recita: ‘la pace fra gli oppressi, la guerra agli oppressor’. Erano rivoluzionari per i quali il fatto simbolico era determinante. Sia Bresci che Zangara non dissero di aver sparato a una persona ma a un concetto. Forse oggi manca davvero quella lucidità, quella determinazione nell’individuare il concetto a cui ribellarsi”.

La foto segnaletica di Zangara

Dal romanzo sarà tratto uno spettacolo di teatro-canzone che Ettore Castagna proporrà prossimamente in giro per l’Italia presso librerie, teatri e centri culturali. Al processo, Zangara dirà di aver agito per bisogno di giustizia, altissimo movente assolutorio. Prima di morire Little Joe rifiuta l’estrema unzione sacerdotale e con tono spavaldo sfida il boia ad attivare l'interruttore. Solo, fino alla fine, gridando "viva l'Italia", che raccontato oggi è una bellissima lezione in tempi di bastioni, divisioni e disamore per la patria, che è altro dal patriottismo sterile. Nonostante sia mingherlino è duro a schiattare, la sua esecuzione ricorda quella del porco calabrese, programmata e ineluttabile. Nessuno piangerà per lui, nessuno ha mai lasciato un fiore neanche nel cimitero virtuale di Railford. Ed è vuota la sua terra.

A Ferruzzano la gente ha iniziato ad andare via alla fine degli anni Settanta usando ogni scusa possibile, anche quella del rischio di frane e terremoti, lasciando le case come vedove bianche. Gli emigranti in America le costruivano per gli altri mentre le loro si scioglievano all’acqua e al sole. Nel 2021 restano soltanto le pietre. Ettore Castagna vaga nel paese di oggi, dove si torna d’estate o nelle feste patronali, si tengono residenze in edifici crollati, si mantiene la proprietà di alberi e orti da visitare per dovere e guadagno. L’abbandono è un dolore e il passato è una perdita di tempo per la storia, come lo è stato Little Joe.

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