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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Investigatori camuffati da giornalisti per stanare il latitante Carmine De Stefano

Il retroscena delle investigazioni della Criminalpol è emerso durante l'udienza del processo "Ndrangheta stragista", Michele Di Stefano: "A Panarea per quindici giorni", sull'isola vennero trovati i riscontri della sua presenza insieme all'allora moglie

Quindici giorni sull’isola di Panarea sotto le mentite spoglie di tre giornalisti. Per arrestare Carmine De Stefano, il figlio di Paolo De Stefano, gli investigatori della Criminalpol sbarcarono sull’isola dicendo a tutti di essere li per girare un reportage. 

Era il 1997, il giovane rampollo di uno dei casati storici della ‘ndrangheta reggina si era dato alla macchia tre anni prima, e Michele Di Stefano, (l’ex investigatore della Criminalpol Calabria che ha testimoniato oggi durante l’udienza del processo Ndrangheta stagista), insieme ai colleghi Antonio Pellerone e Giuseppe Carini si era messo sulle tracce di Carmine De Stefano e dell’allora moglie Giuseppina Coco Trovato: la figlia di Franco Coco Trovato, potente uomo della mala trapiantata in Lombardia.

“Dopo qualche giorno - racconta Michele Di Stefano - riuscimmo ad instaurare un rapporto fiduciario con alcuni imprenditori presenti sull’isola a cui, con la scusa del reportage giornalistico, mostrammo una foto di Carmine De Stefano e dell’allora moglie Giuseppina Coco trovato. Da più persone ricevemmo notizie che i due fossero stati sull’isola l’estate precedente”.

Nel 2001 anche gli uomini della Squadra mobile di Reggio Calabria, seguendo gli spostamenti di Dimitri De Stefano per cercare di stabilire il rifugio di Carmine De Stefano, effettuarono dei pedinamenti sull’isola. Controlli che, però, non ebbero esito fruttuoso.

Solo poco tempo dopo, come registrato da tutte le testate giornalistiche locali e nazionali, la latitanza di Carmine De Stefano finì dentro un appartamento di Arghillà, dove gli uomini della Squadra mobile e della Criminalpol lo scovarono, lo arrestarono e lo assicurarono alle patrie galere.

L’operazione non fu per niente facile, Carmine De Stefano per sfuggire alla cattura si era nascosto dentro un’intercapedine fra due muri, il cui accesso era “reso sicuro” da un congegno magnetico che teneva uniti i due muri. Per stanarlo, insieme a strumenti tecnologici avanzati, ci volle l’intervento dei vigili del fuoco.

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