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Domenica, 28 Aprile 2024
Lo studio

Il capitale naturale che nessuno mette a reddito e una ricerca dimenticata nei cassetti della Regione

Nel 2017 un gruppo di ricercatori dell'università Mediterranea stimò in termini economici una ricchezza di servizi ecosistemici nella rete calabrese Natura 2000, con suggerimenti concreti per lo sviluppo mai applicati

La Calabria è tra le regioni più povere per prodotto interno lordo, ma in compenso valiamo molto su un mercato oggi prezioso: siamo ricchissimi per capitale naturale e servizi ecosistemici, con una percentuale maggiore del resto d’Italia. A dirlo in termini economici era stato nel 2017 un gruppo di ricerca del dipartimento di agraria dell’Università Mediterranea, nell’ambito del progetto europeo PanLife (azione A.5), finanziato dalla Regione anche con fondi del programma comunitario Life+ e dedicato alla tutela e valorizzazione della rete ecologica Natura 2000. UniRc era uno dei partner dell’intervento e la ricerca condotta da Ascioti, Crea, Coletta, Salerno, Menguzzato e Marcianò aveva preso in esame le aree calabresi di Natura 2000 per stimarne il capitale naturale e i servizi ecosistemici.

Il risultato era stato un tesoro di cifre fino a centinaia di milioni di euro l’anno nei soli siti di importanza comunitaria (sic) e zone speciali di conservazione (zsc) della rete Natura 2000 calabrese. Ecco perché le conclusioni di quello studio raccomandavano, tra l’altro, di estendere la ricerca a tutta la regione, partendo dalla premessa che la maggior parte del territorio della Calabria si trovasse ai piani medio-alti dell’indice Tesv (Total Ecosystem Services Values).

Sette anni fa quel progetto fu pioneristico: per la prima volta misurava la ricchezza della nostra regione considerando i beni e servizi che gli ecosistemi, se in condizioni sane e quindi non corrotti da inquinamento o interventi dannosi, erogano quotidianamente. Inoltre calcolava il valore economico generato dal nostro capitale naturale – e paragonabile a tutti gli effetti a quello delle risorse naturali e i beni ambientali disponibili come prodotti sul mercato.

Lo studio dimenticato per il progetto PanLife e una nuova ricerca internazionale

Dopo la presentazione del rapporto e la conclusione di PanLife tutto si è fermato e le risultanze a cui erano giunti i ricercatori sono cadute nel nulla, perché la Regione non ha inteso proseguire il lavoro. Ma non certo perché fossero deduzioni indegne di approfondimento, anzi. Due anni fa infatti capitale naturale e servizi ecosistemici in Calabria sono stati tema di un nuovo studio internazionale dei ricercatori Alessandra La Notte, Joachim Maes e Sara Vallecillo, pubblicato sulla Italian Review of Agricultural Economics. Intitolato significativamente “Poorer but richer”, in riferimento a tre regioni italiane meridionali a basso Pil. Tra loro la regione calabrese “è un caso particolare perché il Pil pro capite è inferiore di circa il 61% rispetto al quello medio in Italia e i sei servizi ecosistemici sono il 4% di quelli italiani ma il loro valore pro capite è superiore di quasi il 10% rispetto al valore italiano”: la Calabria, dunque, nonostante sia “povera”, in proporzione fornisce più servizi ecosistemici di territori a Pil alto.

“La brava ricercatrice La Notte del Joint Research Centre europeo ha pubblicato un lavoro su tutta la Calabria che ha surclassato il nostro, che pure era stato realizzato prima”, afferma l’ecologo e consulente ambientale Fortunato Alfredo Ascioti, collaboratore scientifico del dipartitmento di agraria della Mediterranea. “Noi siamo più poveri di Pil, ma in senso moderno e di futuro più ricchi di capitale naturale, che genera servizi ecosistemici, come il turismo naturalistico e culturale. Potremmo prendere il volo ed essere un modello per il mondo”.

I valori milionari di Natura 2000 nella ricerca dell’Università Mediterranea

La rete Natura 2000 in Calabria comprende 185 siti protetti, tra cui, nella provincia di Reggio, la Costa Viola, i calanchi di Palizzi, Saline joniche, Capo Spartivento, le spiagge di Catona e Brancaleone, il torrente Menta e la fiumara Amendolara, piani di Zervò, valle Moio a Delianuova. Per la stima del valore economico dei servizi ecosistemici, il lavoro dei ricercatori reggini per PanLife aveva utilizzato un approccio indiretto e uno diretto. Il primo faceva riferimento, per analogia, alla banca dati Teeb (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) dell’Onu relativa a servizi ecosistemici di vario genere: risorse genetiche, qualità dell’aria, regolazione dei flussi d’acqua, moderazione degli eventi estremi, prevenzione dell’erosione, fertilità del suolo, diversità genetica, valore estetico e turismo. Analizzando gli ecosistemi calabresi di Natura 2000, all’epoca vennero fuori numeri sorprendenti.

Per fare qualche esempio, il servizio di moderazione degli eventi estremi, sempre più frequenti nei cambiamenti climatici in corso, per estrapolazione dal Teeb, fu stimato in circa 500 milioni di euro annui per gli ecosistemi costieri. Mentre il valore del servizio ecosistemico di protezione della biodiversità era di 21 milioni, e quello delle attività agroturistiche di 383.000 euro. Ancora più clamorosi i risultati delle stime dirette ottenute dai dati delle superfici ecosistemiche, che avevano calcolato il valore dei servizi di fornitura di legname e del sequestro e flusso di carbonio nelle foreste, fornitura di acqua da sorgenti e riduzione del rischio frane. Citando solo qualche dato, l’acqua fornita dalle sorgenti presenti nei siti Natura 2000 calabresi valeva circa 16 milioni di euro annui per l’uso potabile. mentre l’uso irriguo forniva valori tra i 700.000 e i 2 milioni, per un totale dai 17 ai 19 milioni. La riduzione del rischio frane, grazie alla copertura vegetale, riscontrò invece valori per le zone a rischio moderato di circa 93.000 euro annuali, e per quelle ad alto rischio di 250.000.

“Sono stime effettive, non di pura teoria”, spiega Ascioti. “Il sistema di ragioneria ambientale è ormai universalmente riconosciuto e attribuisce al capitale naturale e i servizi ecosistemici un valore monetario comparabile a quello dei beni e servizi umani usuali che costituiscono il ‘paniere’ per il calcolo del Pil”. Cifre che - stabilmente nel caso del capitale naturale e annualmente per i servizi ecosistemici – scrivevano i ricercatori nel policy brief dello studio, “sono fornite in modo diretto o indiretto a vari possibili beneficiari o purtroppo fruibili potenzialmente ma non di fatto”. Il principale spreco è quello del turismo naturalistico, che nella stima indiretta generava un valore massimo, ovviamente non utilizzato.

Nelle foreste della città metropolitana di Reggio una preziosa fonte di carbonio salva-clima

Fortunato Alfredo Ascioti è autore anche di una ricerca incentrata sul territorio della città metropolitana di Reggio Calabria, riguardo il sequestro del carbonio delle sue aree forestali, da anni ritenuto strategico per il mantenimento della temperatura atmosferica globale. Secondo quello studio, le foreste del comprensorio metropolitano fornirebbero circa l'8% in più di carbonio immagazzinato rispetto a quello fornito dalla provincia di Trento, e la predominanza di latifoglie contribuisce alla mitigazione del riscaldamento climatico in modo più efficace rispetto alle conifere delle foreste settentrionali. “Il valore economico di questi servizi ecosistemici forestali – si legge nella ricerca - sottolinea l'urgente necessità di proteggere questo redditizio bene ambientale da impatti umani come inquinamento, taglio illegale e incendi”. I metodi per metterli a frutto in modo sostenibile esistono e uno è l'acquisizione di crediti di carbonio da parte di enti pubblici e privati. Commenta l’ecologo: “Con la mia ricerca volevo far comprendere alle istituzioni che i boschi demaniali e privati, se certificati, possono valere soldi sul mercato libero del carbonio, che ha una sua quotazione come un qualsiasi altro bene. Possediamo un capitale di cui neanche si conosce l'esistenza, e dunque chi di dovere non lo valuta, non lo preserva, non lo sfrutta. Considerano le foreste solo per l’uso del legname e non come importantissimi depositi ed assorbitori di carbonio, mitigatori della temperatura locale e del pianeta”.

La delusione dei ricercatori per la ricchezza del territorio mai messa a reddito

La delusione di Ascioti per quel lavoro lungimirante rimasto chiuso in un cassetto è ancora forte: “Il progetto ha fatto quel che doveva, cioè fornire indicazioni utili sull’enorme patrimonio naturalistico della Calabria. Basterebbe mettere a reddito questa ricchezza – continua il riceratore - in modo sostenibile, come per i nostri investimenti in banca, ‘a capitale garantito’, proteggendo il capitale naturale e sfruttandolo in modo smart cioè senza deprezzarlo. Invece qui è come quando qualcuno dilapida tutti i soldi che ha da parte ben oltre gli interessi che questi possono garantire”.

Lo studio per PanLife si concluse con una formalizzazione sulla carta dei criteri per la definizione dei piani di conservazione delle zsc di Natura 2000. Oltre a caldeggiare la continuazione dello studio nelle altre aree naturalistiche della Calabria, il gruppo scientifico aveva invece evidenziato l’urgenza di mettere in sicurezza il capitale della rete, per “preservarlo dalle minacce dolose e dall’incuria derivante dalla mancanza di conoscenza dei cittadini, dei proprietari di terreni includenti sic e zsc e spesso perfino degli enti territoriali”. E qui, a distanza di anni, a noi viene spontaneo leggere pure una profezia sulla concessione di questi siti fragilissimi per eventi pubblici di alto impatto con grande concentrazione di persone e macchinari. Non facciamo nomi di persone e luoghi, ma, noto il peccato, in questo caso è semplice arrivare al peccatore…

Inoltre, gli studiosi suggerivano la creazione all’interno della Regione di un team permanente insieme agli assessorati all’ambiente e al bilancio, con incarichi di contabilità ambientale e produzione di bilanci economico-ambientali e report di sostenibilità come quello a cui per legge sono tenute le aziende.

In Calabria un’arretratezza diventata valore economico e il falso mito della modernità

Siamo i più poveri di tutti, eppure dotati di una ricchezza che, dopo la crisi della pandemia, è avveniristica e intercetta l’odierna inversione di tendenza economica sociale e culturale. Un progresso alternativo di ritorno alla natura, bene monetizzabile e che può salvare noi e il pianeta. A patto di non eroderlo e sperperarlo dissennatamente. Conclude Alfredo Ascioti: “Possiamo dire che l’arretratezza della Calabria è diventata il suo vantaggio comparato in senso strettamente economico. In un mondo dove la natura diventa sempre più scarsa rispetto all'artificiale umano, avere capitale naturale e servizi ecosistemici di tale valore è un plus, non un minus. Ma la nostra politica e i nostri dirigenti sono fermi al mito della modernità e continuano a inseguire modelli obsoleti con grandi alberghi e villaggi anonimi uguali a qualsiasi altro, porticcioli anche dove non ce n'è necessità, lidi rutilanti con musica a palla, rovinando irreparabilmente proprio quello che ci dà un vantaggio economico comparato: è sul prezioso capitale naturale che si può costruire il nostro futuro sviluppo”.

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