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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

"Ndrangheta stragista", in aula gli interessi dei Piromalli per gli affari nel mondo televisivo

Nell'udienza odierna del processo che vede imputati Giuseppe Graviano e Rocco Filippone si è registrata la lunga deposizione di Michelangelo Di Stefano, l'investigatore ha ricostruito la sentenza "Tirreno" e la figura di alcuni imprenditori

Lombardo Giuseppe-3Fra criminalità organizzata e imprenditori televisivi sarebbe esistito un solido legame economico-amicale. Michelangelo Di Stefano, investigatore per anni impegnato sul territorio reggino, ha ricostruito - partendo dagli esisti della sentenza del processo “Tirreno” e spiegando gli accertamenti effettuati su precisa delega del pubblico ministero Giuseppe Lombardo - gli interessi della cosca Piromalli-Molè, attraverso imprenditori vicini per vincoli economici e di parentela, nel mondo della televisione. Rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, durante l’udienza odierna del processo “Ndrangheta stagista”, Michelangelo Di Stefano si è soffermato, in particolare, sulle figure di Angelo Sorrenti e Giovanni Polimeni: due imprenditori cresciuti grazie alle commesse della Fininvest sui ponti radio del segnale televisivo e per la loro vicinanza alle potenti famiglie di ‘ndrangheta di Gioia Tauro.

Fra omicidi, registrazioni abusive, comparati, scambi di favori, attentati dinamitardi, incontri privati fra boss e imprenditori televisivi calabresi e collaborazioni con la giustizia, dalle parole di Michelangelo Di Stefano sono emersi i solidi rapporti fra Sorrenti e la Elettronica industriale (società che, come ricordato dal teste in aula, era guidata da Adriano Galliani) prima e la Fininvest dopo. 

Un legame che, in un periodo storico contrassegnato per Angelo Sorrenti da guai giudiziari, avrebbe imbarazzato il “biscione” e le società satelliti, tanto da spingere le società milanesi a puntare su un altro imprenditore calabrese per “farne il referente politico di Fininvest nella regione”.

Il tutto avviene nel 1994, quando il gruppo televisivo lombardo subisce due attentati ad altrettanti ripetitori piazzati in Calabria. Pressioni che per l’investigatore non farebbero “emergere attività di pagamento del pizzo da parte di Fininvest verso i locali di ‘ndrangheta calabresi”. 

Danneggiamenti che per Angelo Sorrenti sarebbero stati architettati “intelligentemente” per metterlo in cattiva luce davanti ai vertici Fininvest che, stando alle registrazioni degli incontri effettuate dallo stesso Sorrenti, lo riconoscevano come uno dei “cuscinetti in Calabria” per gestire i rapporti più pericolosi. 

Per chiarire la vicenda, secondo la ricostruzione di Michelangelo Di Stefano, si tennero un paio di incontri a Lissone con i vertici della Elettronica industriale, durante i quali si discusse sull’opportunità o meno di denunciare quanto stava accadendo in Calabria alle forze dell’ordine. 

Un’ipotesi scartata, secondo gli investigatori, dai manager milanesi “per quito vivere”, per “evitare di compromettere la campagna elettorale di Silvio Berlusconi” che nel 1994 si apprestava a vincere le elezioni e diventare Presidente del Consiglio a capo di Forza Italia.

La testimonianza di Michelangelo Di Stefano proseguirà alla prossima udienza del processo “Ndrangheta stagista”, quando l’investigatore si concentrerà sui riscontri effettuati sulla latitanza dei fratelli Graviano in Sardegna. Un argomento sul quale il legale difensore di Giuseppe Graviano, l’avvocato Giuseppe Aloisio, ha chiesto di sentire Fedora Puma, già testimone di giustizia, moglie di quel Giuseppe Vasile che si sarebbe adoperato per trovare la villa di Forte dei Marmi dove i fratelli Graviano vi passarono alcuni periodi della loro lunga e dorata latitanza.

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