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Cronaca

La 'ndrangheta e la strategia stragista racchiusa in mille e trecento telefonate

E' stato il pubblico ministero Walter Ignazitto, durante l'udienza del processo "Ndrangheta stragista", a ricostruire i controlli effettuati sulle celle telefoniche, fra il 1993 e il 1994, dagli investigatori del Servizio centrale antiterrosimo

Mille e trecento contatti telefonici fra li “stragisti” e la Calabria. E’ questo il dato censito dagli investigatori del Servizio centrale antiterrosimo, che hanno agito su delega della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, esposto dal pubblico ministero Walter Ignazitto ai giudici popolari e alla presidente della Corte d’assise reggina, Ornella Pastore, impegnata nel processo “Ndrangheta stragista” che, per l’omicidio dei Carabinieri Fava e Garofalo, vede alla sbarra Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone.

“Un arido, asettico dato telefonico - ha detto il pubblico ministero - si trasforma in qualcosa di plastico, che dimostra i contatti che si sono concretamente realizzati fra soggetti condannati per le stragi continentali e soggetti calabresi e rappresenta un formidabile riscontro alla ipotesi accusatoria”.

Un dato che, per l’ufficio di Procura impegnato nella requisitoria finale, dimostrerebbe l’assoluta compartecipazione della ‘ndrangheta calabrese alla stagione stragista che, all’ombra dell’Aspromonte prese di mira gli uomini dell’Arma: “il simbolo della società civile - come sottolineato da Walter Ignazitto - più incisivo che incarnava lo Stato”.

Una compartecipazione di fatto ad un periodo tragico per la Nazione che era costretta a registrare un cambiamento nella rotta criminale della “mafia unica”. “Mentre le stragi siciliane a partire da Rocco Chinnici e della Chiesa - ha detto il pm - si inserivano nell’ottica tradizione della strategie di Cosa nostra cioè quella di eliminare direttamente i nemici, le stragi continentali si inseriscono in una logica nuova: indebolire lo Stato colpendo dei simboli, seminare il panico per portare lo Stato a più miti consigli sulle normative anti mafia. Materia che all’epoca, come anche oggi, erano di stringente attualità e interessavano varie frangie di criminalità presenti sul territorio e non soltanto a Cosa nostra”.

Contatti che sono stati confermati da Emanuele Di Natale: uno stragista che, dopo il suo arresto, decide di collaborare con la giustizia e di raccontare, fra le lacrime, i retroscena criminali di una delle pagine più opache della storia repubblicana, una storia dimenticata per oltre venti anni e che, oggi, la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria sta provando a riscrivere.

“Emanuele Di Natale - ha spiegato il pm Ignazitto alla corte - è uno stragista, un fiancheggiatore del gruppo Graviano. E’ il custode dell’esplosivo utilizzato non soltanto a Roma ma anche a Firenze e Milano. E’ lui, dopo il suo arresto, a collaborare e a confessare di essere il punto di contatto fra Cosa nostra e cosche Piana e, soprattutto, ad affermare che l’esplosivo usato per stragi, che era custodito in magazzino di Roma Ostiense, doveva essere utilizzato in Calabria per fare degli attentanti ai giudici reggini”.

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