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Gli affari della 'ndrangheta in Trentino: tra i 5 arrestati anche un poliziotto ed ex assessore comunale |VIDEO

Colpo alla potente 'ndrina Serraino. Operazione "Pedigree 2" della Squadra Mobile di Reggio Calabria e dei carabinieri del Ros di Trento. L'accusa per gli indagati è di associazione mafiosa

Duro colpo alla cosca Serraino. Tra i cinque arrestati dalla squadra mobile e dai carabinieri del Ros c'è anche Seby Vecchio. Ex assessore comunale e poliziotto, sospeso dal servizio, è accusato, come gli altri, di associazione mafiosa.

L'operazione "Pedigree 2", scattata questa mattina alle prime luci dell'alba, è stata condotta dalla Squadra Mobile e dai carabinieri del Ros di Trento e Reggio Calabria a conclusione di complesse e articolate indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri. 

Contestualmente, è stata eseguita, dai carabinieri del Ros di Trento, un’ordinanza di misure cautelari, emessa dal Gip del Tribunale di Trento, su richiesta della locale Procura, nell’ambito dell'operazione "Perfido", a carico di 19 indagati, a vario titolo, per i delitti di associazione mafiosa (locale di ‘ndrangheta di Lona Lases, proiezione della cosca Serraino nella provincia di Trento), scambio elettorale politico-mafioso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e riduzione o mantenimento in schiavitù.

L’inchiesta "Pedigree 2", coordinata dai sostituti procuratori della Repubblica di Reggio Calabria, Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Sara Amerio, ha portato al fermo di indiziato di delitto e al sequestro preventivo d’urgenza emesso, sussistendo il pericolo di fuga, nei confronti di cinque persone, ritenute responsabili di associazione mafiosa (cosca Serraino).

I nomi degli arrestati

L’indagine "Pedigree 2"

L'operazione riassume gli ulteriori esiti di articolate investigazioni, condotte con l’ausilio delle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche e con l’apporto dichiarativo di numerosi collaboratori di giustizia reggini, anche recenti. Inoltre, costituisce il seguito dell’operazione "Pedigree", nell’ambito della quale la Squadra Mobile di Reggio Calabria, guidata da Francesco Rattà, il 9 luglio scorso, ha tratto in arresto capi e gregari della cosca Serraino.

L'inchiesta, infine, è integrata dalle risultanze di un’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Trento, condotta dai carabinieri del Ros del luogo a carico di un’articolazione del potente clan Serraino, operante in Trentino Alto Adige e in costante contatto con gli esponenti più autorevoli della "casa madre" reggina. 

I ruoli nella cosca di "Nino" Serraino e "Ciccio lo scalzo"

Secondo gli investigatori le indagini avrebbero consentito "di accertare che il ruolo apicale in seno alla consorteria mafiosa è attualmente ricoperto da Antonio Serraino, detto "Nino", figlio del defunto Domenico Serraino, classe 1945, inteso "Mico", fratello di Alessandro Serraino, 45 anni, detto "Lisciandro".

Il suo ruolo di vertice all’interno della cosca è stato tratteggiato anche dai collaboratori di giustizia che lo indicano quale esponente di spicco dell’associazione mafiosa con un profilo più riservato rispetto a quello del fratello Alessandro, ma ugualmente strategico e di rango verticistico, particolarmente rivolto alla cura degli aspetti nevralgici legati alle infiltrazioni nell’economia ed ai rapporti con la politica e le istituzioni, sebbene abbia finito per assumere, nel corso degli ultimi anni, dopo l’arresto del fratello Alessandro e del cognato Fabio Giardiniere (coinvolti nel procedimento "Epilogo"), un ruolo maggiormente operativo prendendo in mano le redini della ‘ndrina soprattutto nella gestione delle estorsioni e nella suddivisione dei proventi illeciti del sodalizio".

Francesco Russo, 47 anni, detto "Ciccio lo scalzo", viene indicato dai collaboratori di giustizia come storico componente della cosca Serraino con il ruolo direttivo in seno alla consorteria mafiosa di “capo società” che aveva presieduto i riti di affiliazione e che, dopo la sua recente scarcerazione nel 2017, aveva mantenuto un ruolo apicale, interloquendo direttamente con il capo della 'ndrina Nino Serraino. 

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

Secondo gli investigatori della polizia di stato e del Ros dei carabinieri le dichiarazioni dei collaboratori trovano concreto riscontro nelle risultanze dell’indagine condotte dalla squadra mobile nell’ambito dell’operazione "Pedigree", eseguita il 9 luglio 2020, nonché nelle indagini condotte dal Ros di Trento sotto l’egida della locale Dda. 

Le intercettazioni

In alcune conversazioni, esponenti di vertice e sodali trentini della cosca Serraino descrivono Francesco Russo "come un soggetto serio e azionista pericoloso, pronto a recarsi all’occorrenza in Alto Adige per dare manforte alla compagine mafiosa di quel territorio".

Al ruolo di Antonino Fallanca, amministratore unico della “Fallanca Colori s.r.l.”, ditta che si occupa di produzione e commercializzazione all’ingrosso ed al minuto di vernici, colori, ferramenta, bricolage, di prodotti per l’edilizia e legname, hanno fatto riferimento i collaboratori di giustizia, che lo indicano come affiliato di elevato lignaggio criminale della cosca Serraino, la cui crescita imprenditoriale è stata alimentata
dai suoi rapporti privilegiati con le 'ndrine Serraino e Rosmini. 

Il conferimento della dote della "Santa"

Dalle indagini è emerso come Fallanca avrebbe sfruttato il suo ruolo di esponente di vertice di una delle più temibili cosche di ‘ndrangheta, per indurre gli imprenditori locali ad avvalersi dei servizi resi dalla propria impresa.

I collaboratori di giustizia, nel corso dei recenti interrogatori, nel rievocare il passaggio alla "società maggiore" e il conferimento della dote della "Santa", avevano indicato, tra i partecipanti al rito, un soggetto soprannominato "Zamburro". Gli accertamenti eseguiti dalla Squadra Mobile reggina, delegata dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia, hanno consentito di identificare Paolo Russo, 59 anni.

Anche gli esiti provenienti dalle indagini della Dda di Trento suggellano la genuinità del racconto dei collaboratori di giustizia. Le intercettazioni documentano la solidarietà criminale di "Zamburro" con gli esponenti del locale altoatesino e "testimoniano, perfettamente in linea con quanto dichiarato dai collaboratori, la caratura mafiosa di Paolo Russo, in grado di “battezzare” nuovi sodali.

Il poliziotto vicino alla cosca Serraino

A carico di Sebastiano Vecchio, detto "Seby", assistente capo coordinatore della polizia di stato in forza al  compartimento polizia ferroviaria di Venezia, attualmente sospeso dal servizio per motivi disciplinari, nonché, per diversi anni, consigliere e assessore comunale di Reggio Calabria dove ha rivestito anche la carica di presidente del Consiglio comunale, la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha disposto il fermo "per associazione mafiosa sulla base di plurime chiamate in correità, riscontrate peraltro dagli esiti di alcune intercettazioni effettuate nell’ambito del procedimento "Pedigree", dalle quali è stato delineato a suo carico un gravissimo quadro indiziario".

Le dichiarazioni del procuratore Bombardieri

La carriera politica

Vecchio è stato dal 2002 al 2007 consigliere della VII Circoscrizione San Giorgio – Modena – San Sperato; dal 22 giugno 2007 al 5 luglio 2010 assessore alla Pubblica Istruzione della seconda giunta Scopelliti del Comune di Reggio Calabria; dal 20 giugno 2011 al 10 ottobre 2012 consigliere del Comune di Reggio Calabria, rivestendo, contestualmente, la carica di presidente del Consiglio.

"Diversi collaboratori di giustizia, tutti di comprovata affidabilità - spiegano dalla Questura - hanno descritto Sebastiano  Vecchio, come soggetto legato, a doppio filo, alla cosca Serraino e ciò a dispetto dei ruoli istituzionali dallo stesso rivestiti". Il poliziotto che si è dedicato a lungo all’attività politica, in questa doppia veste non avrebbe esitato "ad interloquire con i Serraino e con altri esponenti della criminalità organizzata reggina, ricavando benefici elettorali ed assicurando ai suoi sodali una ventennale "messa a disposizione" per venire incontro alle loro più svariate esigenze". 

Subito dopo la sua elezione e la successiva designazione quale assessore alla Pubblica istruzione, "erano sorte, però, impreviste tensioni con gli esponenti del sodalizio mafioso, degenerate persino nel danneggiamento incendiario di due autovetture di Vecchio".

Il poliziotto ai funerali del boss

I resoconti dei collaboratori trovano anche una incisiva conferma in un episodio rappresentativo dell’estrema vicinanza di Vecchio alla ‘ndrina dei Serraino. Il 12 marzo 2010, Vecchio, all’epoca assessore del Comune di Reggio Calabria, prendeva parte, presso la chiesa di San Sperato, ai funerali del boss Domenico, detto "Mico" Serraino, capo della cosca, già sottoposto al regime carcerario, ex art. 41 bis ord. pen., fratello del defunto Francesco (Don Ciccio, “re della montagna”) e padre di Alessandro (detto “Lisciandro”) e dell’odierno indagato Antonio, detto “Nino” Serraino. 

"Quella presenza - sottolineano gli inquirenti - non poteva che essere motivo di vanto per la storica ndrina reggina, che agli occhi della popolazione e delle cosche alleate si fregiava dell’ultima riverenza, attribuita al suo capo, da un rappresentante delle istituzioni. Ciò a maggior ragione perché il questore pro tempore, tenuto conto della personalità del deceduto, aveva emanato apposita ordinanza con cui vietava il trasporto della salma in forma pubblica e solenne".

L'intestazione fittizia di un ristorante

È emerso, inoltre, anche grazie alle intercettazioni telematiche ed ambientali disposte nel corso dell’indagine "Pedigree", come Vecchio avrebbe intessuto illecite cointeressenze con gli esponenti della cosca Serraino sino ad epoca recentissima, "concorrendo nell’intestazione fittizia di un ristorante in realtà riconducibile al pregiudicato Maurizio Cortese, incontrando quest’ultimo durante la latitanza e fornendo informazioni riservate ai membri dell’associazione mafiosa".

Il sequestro

La polizia di stato e il Ros hanno eseguito il sequestro preventivo, disposto dalla Direzione distrettuale antimafia, a carico della società “Fallanca Colori s.r.l.”, con sede a Reggio Calabria, e relativo patrimonio aziendale (comprensivo di beni immobili, mobili registrati e disponibilità finanziarie), intestata ai familiari di Antonino Fallanca, amministratore unico della società.

La Dda reggina ha ritenuto necessario procedere al sequestro preventivo dell' attività imprenditoriale, in quanto "risultata in rapporto di conclamata strumentalità con il reato di associazione mafiosa contestato ad Antonino Fallanca".

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