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Reggio Calabria sul filo dei ricordi/2 / Centro / Piazza Italia

Uno scrigno di tesori storici nella piazza che i reggini chiamano Italia

Il suo vero nome, l'ultimo di una lunga serie, la intitolava a Vittorio Emanuele II ma tutti la identificano con la statua della Nazione. Qui restano le sorprendenti scoperte degli scavi più importanti della città

Continuiamo in piazza Italia il nostro viaggio nella memoria storica e urbanistica di Reggio in compagnia dello studioso Franco Arillotta, membro della deputazione di storia patria della Calabria

E’ la piazza dalle tante identità, che nel corso dei secoli ha cambiato nome seguendo gli eventi storici e le gesta di dominatori e rivoltosi. Oggi la conosciamo come piazza Italia, in riferimento alla candida statua in marmo di Carrara dello scultore Rocco Larussa che ne è l’elemento centrale, ma com’è noto questa denominazione è erronea. Al monumento che rappresenta la Nazione, ritratta come figura femminile con il braccio levato verso i cittadini di un unico stato, la piazza non è mai stata intitolata. “Il nome giusto – ricorda lo studioso Franco Arillotta – è piazza Vittorio Emanuele II, infatti io di solito nell’indicarla aggiungo ‘vulgo piazza Italia’, perché questo è il modo popolare con il quale la conoscono i reggini”.

Già antica agorà nell’età greca, sin dal XVI secolo è stata il centro della vita amministrativa e politica della città, situata nel centro geometrico dei principali palazzi istituzionali che sarebbero poi sorti proprio attorno ad essa. Ancor prima era stata sede mercatale e di ritrovo, ma la sua vocazione di sede delle attività di governo cittadino coincise con il nome di Tocco Piccolo, zona in cui venivano eletti i sindaci, qui in rappresentanza del ceto nobiliare (nella vicina piazza del Duomo, Tocco Grande, erano designati quelli delle classi popolare e artigiana). All’epoca non era ancora una piazza, urbanisticamente lo divenne dopo il sisma del 1783 con il progetto di Giovan Battista Mori.

Tutti i nomi della piazza per ricordare eventi storici e gesta di dominatori e rivoltosi

Nell’Ottocento ebbe numerose intitolazioni e altrettanti monumenti. I reggini videro sorgere un obelisco dedicato a Murat e una statua per Ferdinando I di Borbone, e fu il popolo stesso a identificarla come piazza della Cattolica (per la chiesa bizantina a poca distanza), di Re Gioacchino o dei Gigli, in riferimento allo stemma borbonico.  Nell’agosto del 1860 Garibaldi conquistò Reggio e dopo l’unità la piazza prese il suo ultimo nome in onore del sovrano del regno d’Italia.

Il monumento del maestro Larussa, eretto nel 1868, ricorda i martiri reggini che persero la vita per la liberazione dal dominio dei Borboni, tra cui Domenico Romeo, originario di Santo Stefano d’Aspromonte uno dei primi rivoltosi calabresi a sventolare il tricolore. Anni prima della vittoriosa battaglia dei Mille aveva preso la città istituendo un governo provvisorio, affidato alla guida del canonico Paolo Pellicano. Ucciso brutalmente dalle guardie borboniche, la sua testa decapitata fu esposta nel cortile del carcere di Reggio come minaccioso avvertimento ai ribelli Circondata dai palazzi del Comune, della Provincia e della prefettura, anche questa piazza fu coinvolta nella ricostruzione voluta da De Nava dopo il terremoto del 1908.

Piazza Italia cartolina antica 01

La lunga avventura degli scavi e le straordinarie scoperte di diciotto secoli di storia

Il sottosuolo di piazza Italia conserva la memoria dell’originaria città di Rhegion, uno scrigno segreto che continua a svelarsi per caso durante lavori di manutenzione. Tra il 2000 e il 2005 venne alla luce il sito archeologico ipogeo che conserva undici stratificazioni, dall’antica Grecia al XIX secolo. Quattro distinti scavi della Soprintendenza fino a sei metri di profondità permisero il ritrovamento di un insediamento urbano parallelo con parti intatte di mura, strade e numerosi reperti.

La fruizione dell’area ha richiesto anni, con un lungo periodo di cantiere a cielo aperto. Inizialmente furono realizzati i lucernari con tetti trasparenti e poi un percorso sotterraneo che si può attraversare su una passerella. E’ cambiata anche la pavimentazione, che era stata temporaneamente ricoperta da un prato sintetico fino al suo completo rifacimento.

A raccontarci l’avventura di quelli che oggi rappresentano gli scavi più importanti della città è Franco Arillotta. Scherzando lo studioso rivendica la sua iniziativa che contribuì a dare la spinta verso il ritrovamento archeologico. Tutto iniziò con un errore di calcolo.

“Il Comune – ricorda lo storico – aveva previsto di rifare il pavimento della piazza, che secondo l’idea degli architetti incaricati sarebbe stata a scacchiera, con quadroni di due metri di lato, a colori alternati tra bianco di Carrara e rosa del Portogallo. Per fortuna non se ne fece nulla perché nel progetto esecutivo sbagliarono a scrivere la profondità dello scavo”. L’amministrazione si ritrovò una misurazione di 2 metri anziché 0,20 e poiché a quel livello esisteva un vincolo sottopose il progetto alla Soprintendenza.

E lì in un certo senso Arillotta mise l’ente davanti al fatto compiuto: “Su un giornale scrissi un intervento nel quale annunciavo l’avvio degli scavi come se fosse già deciso, facendo capire che era importante perché finalmente avremmo saputo cosa si celava sotto la piazza. A quel punto la Soprintendenza decise di autorizzare i lavori… posso dire di averli un po’ provocati io quegli scavi”.

A fine gennaio 2001 nel giorno dell’apertura del cantiere l’allora soprintendente Elena Lattanzi invitò anche lo studioso, che rievoca quei momenti con la stessa emozione di allora: “Stavamo per fare scoperte che andavano oltre la nostra immaginazione, in quelle poche zolle di terra c’erano segni millenari della civiltà umana”.

Il racconto di un episodio indimenticabile

“C’era incertezza sul punto in cui iniziare a scavare e io portai con me una carta medievale della città. Indicava una strada e decidemmo di partire da lì… vedo ancora il ruspista con il mezzo pronto a demolire un muro che aveva trovato. Furono attimi di panico. Per lui era una cosa inutile, invece era proprio quello che stavamo cercando!”

Dalla Magna Grecia agli Angioini diciotto secoli in strati sovrapposti, uno ogni trenta centimetri di spazio, con testimonianze affascinanti della vita degli antenati di Reggio. Tra tecniche di costruzione che custodiscono antica sapienza e testimonianze di attività commerciali e ricreative, Arillotta ricorda alcuni dei ritrovamenti, tra cui la struttura di una stalla con una carcassa di cavallo e la base di un palcoscenico musicale con le condutture per l’illuminazione a gas usata dagli artisti per farsi luce mentre suonavano.

“C’era anche un mucchietto di monete abbandonate e mi sono sempre chiesto perché mai chi le perse non tornò a cercarle”. Ma la scoperta più sorprendente fu lo scheletro di una mano umana. “Era di colore verdastro – spiega lo storico – e si trovava vicino a un’attrezzatura per fondere il metallo. Forse qualcuno che stava realizzando armi e punte di lance con il bronzo fuso se lo versò sull’arto bruciandosi e per non estendere l’ustione gli mozzarono quella mano”. A proposito di monete, in quello scavo ne furono rinvenute circa 1200.

“Con i reperti – continua Franco Arillotta – furono riempite 1500 cassette pesanti venti chili ciascuna, dentro c’erano manufatti in ferro, bronzo, marmo, vetro e anche un calco di simboli cristiani del IV secolo, che attestano le origini del Cristianesimo a Reggio. Ed è ancora tutto chiuso nei depositi del museo, non hanno nemmeno tolto la terra che ricopre quegli oggetti. Mi arrabbio moltissimo ogni volta che ci penso, in quelle cassette c’è la storia della nostra città!”

Quando la piazza fu richiusa, la strada romana con i lastroni raffigurata nella storica cartina era riemersa dal passato. “Alla fine l’avevamo trovata – conclude lo storico – ma nell’attuale sito si può conoscere solo una piccola parte del ricchissimo scavo che poi fu coperto dalla pavimentazione. L’ho anche fatto notare a chi gestisce l’ipogeo, ho chiesto se conoscano tutta la storia di questo sottosuolo e mi hanno risposto in modo approssimativo, perché non è stata realizzata una vera documentazione da sottoporre alla comunità scientifica. Non sono mai stati resi noti gli esiti delle ricerche doverose e previste su cosa quel sito e quei reperti possono dirci sulla storia di Reggio”. 

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