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"Frutta martorana", tra le origini palermitane e quelle in riva allo Stretto

Recentemente la Confartigianato Reggio Calabria, per mezzo dei suoi canali social, ha esposto il pensiero del professore Daniele Castrizio, in merito ad una questione che riguarda la provenienza del tipico dolce

Da tempo alcuni appassionati di cucina ed esperti del settore dolciario si chiedono se la frutta martorana sia nata realmente a Palermo o altrove. Pochi giorni fa, la pagina facebook ufficiale della Confartigianato Reggio Calabria ha citato il pensiero del professore Daniele Castrizio, ordinario presso l’università di Messina, il quale ritiene la pietanza che sia stata creata in riva allo Stretto, poichè "influenzata dalla cultura bizantina e ortodossa".

Ecco di seguito il comunicato riportato dall'ente reggino sul proprio account social.

"La storia del cibo e dei dolci di ogni centro urbano si presta spesso a un racconto lungo secoli, a patto di avere il coraggio di liberarsi da tanti luoghi comuni, fraintendimenti, vere e proprie mistificazioni. - Si legge nel post pubblicato sui social - Spesso l’identità di un popolo, della sua religiosità, delle sue tradizioni, è leggibile nelle ricette e nelle preparazioni dolciarie, che vanno difese e tramandate di generazione in generazione".​

"Se tale assunto è valido per ogni luogo della ecumene, ha maggior valore nel Reggino, che ha subito una violenta conquista da parte di popolazioni barbariche mille anni fa, che hanno immediatamente iniziato un lungo processo di genocidio culturale delle genti autoctone dominate. - Prosegue - Nulla è sfuggito a questa implacabile mannaia: la diffusione a piene mani dell’ignoranza ha reso indifesi i Greci di Calabria, che sarebbe giusto chiamare con il proprio nome storico di Romei; dal culto dei santi alla lingua, dagli usi quotidiani alla cultura, tutto è stato deformato, denigrato, manipolato".​

"Ma i Romei sono testardi, tradizionalisti, conservatori financo all’eccesso dei propri usi e costumi, e tante ricette, soprattutto tra la pasticceria, sono sopravvissute fino al giorno d’oggi. - Prosegue la Confartigianato - Due esempi eclatanti: i petrali e i cuddhuraci, che derivano dal greco antico, rispettivamente da petraki (piccole pietre) e kollyrakia piccole (pagnotte). Uno è il dolce tradizionale del Natale, l’altro della Pasqua, e si ritrovano in Grecia e nella Magna Grecia, dove le popolazioni non sono state definitivamente sconfitte dal punto di vista culturale".

"Per comprendere, però, la portata della cancellazione della memoria, bisogna parlare, sia pur brevemente, della frutta martorana, la cui invenzione è attribuita da una pia leggenda alle monache del convento della Martorana a Palermo, ovviamente in epoca normanna: tutto ciò che è antico, orientale dal punto di vista del rito, deve essere attribuito ai primi conquistatori occidentali, cancellando il passato. Eppure, ancora oggi c’è l’usanza bizantina e ortodossa di offrire dolci e frutta per i vivi e per i morti, con la benedizione dei sacerdoti. È un rito antichissimo, che trae origine dal refrigerium, il pasto in comune accanto alla tomba dei propri cari defunti. Si può affermare ,quindi che la ​ cultura bizantina e ortodossa ​ influenza la nascita della prima frutta martorana nell’area dello Stretto" .​

"In tutta la Magna Grecia e in Sicilia, poi, l’abilità nel realizzare la pasta di mandorle, ha portato alla creazione di dolci a forma di frutta, il cui uso nell’ambito delle ricorrenze funerarie è ancora oggi in auge, anche se non rimane la consapevolezza della sacralità da parte della popolazione. Un tipico esempio di banalizzazione di un dolce che ha, invece, una storia millenaria, da tramandare a chi verrà dopo di noi".

"A Reggio Calabria vengono anche detti morticeḍḍi per via del fatto che somigliano alla frutta rinvenuta nelle antiche tombe, esposta al Museo Archeologico Nazionale Reggio Calabria - conclude il comunicato - una tradizione magnogreca usava portare nelle sepolture dei parenti frutti di terracotta affinché ai defunti non mancasse mai la vista di quello che avevano goduto in vita".

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